«Fantozzi, il suo terzo figlio»: Elisabetta Villaggio racconta il padre Paolo e ricorda i suoi momenti più belli

«Fantozzi, il suo terzo figlio»: Elisabetta Villaggio racconta il padre Paolo e ricorda i suoi momenti più belli
«Fantozzi, il suo terzo figlio»: Elisabetta Villaggio racconta il padre Paolo e ricorda i suoi momenti più belli
di Chiara Morini
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Martedì 12 Luglio 2022, 02:35

CIVITANOVA MARCHE - Un padre ingrombrante, non tanto per il suo lavoro, quanto per il carattere che aveva: così Elisabetta Villaggio ricorda il padre Paolo. Lo farà anche al Civitanova film festival, domani, alle 18,30, alle cantine Fontezoppa, dove arriverà per presentare il suo libro “Fantozzi dietro le quinte. Oltre la maschera. La vita (vera) di Paolo Villaggio”.

 
Elisabetta Villaggio, quanto era ingombrante suo padre?
«Abbastanza, ma più che per il suo lavoro, per la grande personalità che aveva: era libero, aperto, ironico, serio, diverso da com’era nei suoi personaggi. La sua era un’ironia caratteriale, senza cadere nei luoghi comuni».
Com’era il Paolo Villaggio papà?
«Ho avuto solo lui come padre. Io e mio fratello comunque siamo stati molto con i nostri nonni. Papà lavorava, gli piaceva vedersi con gli amici, per cui anche per questo forse è stato poco presente. Se c’erano presentazioni di film e finivano tardi, noi non lo vedevamo perché andavamo a letto presto».
È vero che era timido?
«Sì, lo era davvero tanto. Nella vita privata. Poi però davanti al pubblico cambiava, si scaldava e si “gonfiava” come un palloncino. Si trasformava».
Suo padre quanto amava Fantozzi?
«Nell’ultimo periodo lo considerava come il suo terzo figlio, lui aveva ideato il personaggio, lui lo faceva come gli piaceva, e anche il regista lo lasciava fare».
Elisabetta, è stato naturale lavorare dietro le quinte in Tv, con un padre come Paolo?
«Guardi, tutto è nato per caso. Il primo lavoro l’ho fatto d’estate, quando non andavo a scuola. Fui assistente costumista in film di mio padre, non nei Fantozzi. Ad un certo punto dovevo andare in terza liceo scientifico e gli dissi che volevo lasciare per lavorare. Disse un “no” secco. Alla fine mi sono diplomata, sono andata all’università, ma ho lasciato a pochi esami dalla fine».
È stato difficile, all’inizio, sul lavoro essere la figlia di Paolo Villaggio?
«Abbastanza. Agli inizi non ero Elisabetta, ma la “figlia di”. A un certo punto sono andata negli Stati Uniti, dovevo rimanere qualche mese, ma mi sono trattenuta cinque anni. Tornata in qualche caso ero sempre la figlia di Paolo Villaggio. Ma ho lasciato correre. Come a scuola quelli a cui ero antipatica mi chiamavano Cita. Ma anche lì lasciavo correre».
Il più bel ricordo di suo padre attore?
«Sicuramente a Venezia, quando ha preso il Leone d’oro alla carriera. L’ho visto felicissimo, perché fu riconosciuta la sua carriera anche dalla critica vera, quella di serie A».
E di Paolo come papà?
«I viaggi all’estero. Allora non c’erano i cellulari e quando eravamo in vacanza staccava davvero, nessuna telefonata, era sempre accanto a noi».
Ha conosciuto molti personaggi, quali ricorda con più affetto?
«Sicuramente Fabrizio De Andrè, lui e mio padre erano amici, i miei nonni e i genitori di De Andrè si conoscevano già. Poi direi Marco Ferreri, ma anche Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman. Con lui e sua moglie Diletta siamo stati tutti insieme in Messico».
Come descriverebbe Paolo Villaggio a chi non l’ha conosciuto?
«I più piccoli non sanno chi era Paolo, ma Fantozzi sì.

Aveva poca manualità, ma una cultura e un intelletto straordinai: sapeva la storia, era curioso, non si annoiava mai, aveva una grande carica. Quando dovevamo fare dei viaggi ci diceva sempre “andate qui, visitate questo, mangiate là”, con tanto di indirizzi. Mi piace pensare che oggi c’è Wikipedia, ma prima c’era papà Paolo».

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