Anna Bonaiuto protagonista di “Agosto a Osage County” da domani a domenica alle Muse: «Violet mi è vicina per l’ironia»

Anna Bonaiuto protagonista di “Agosto a Osage County” da domani a domenica alle Muse: «Violet mi è vicina per l’ironia»
Anna Bonaiuto protagonista di “Agosto a Osage County” da domani a domenica alle Muse: «Violet mi è vicina per l’ironia»
di Lucilla Niccolini
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Mercoledì 15 Novembre 2023, 03:55 - Ultimo aggiornamento: 12:25

ANCONA - Lo sguardo intenso di Anna Bonaiuto illumina, più di qualunque riflettore, la scena di “Agosto a Osage County”. La commedia, con cui Tracy Letts meritò, nel 2008, il Premio Pulitzer, va in scena al teatro delle Muse di Ancona, da domani (ore 20,45) a domenica (ore 16,30). La prima versione italiana del testo, per la traduzione di Monica Capuani, è diretta da Filippo Dini, che ne è anche interprete, accanto alla Bonaiuto e ad altri dieci ottimi attori.

In grande spolvero nei panni di Violet, la primadonna del teatro italiano si cala nel personaggio, cinico e rabbioso, della matriarca di una famiglia “disfunzionale”, che si riunisce alla notizia della scomparsa del padre Beverly.
Alla perfida e instabile Violet, quanto ha dato di sé Anna Bonaiuto?
«La battuta facile, l’immediatezza con cui reagisce, con risposte fulminanti, agli atteggiamenti e alla stupidità degli altri. Violet mi assomiglia nella capacità di essere ironica, quando l’interlocutore si prende troppo sul serio. Per interpretare questa donna malata di cancro, frustrata e segnata da antiche ferite, ho, come sempre, fatto ricorso alle espressioni, alle reazioni, che mi capita di osservare nella vita reale. Il mondo ci ispira, se lo guardiamo attentamente. Inoltre, nel suo rapporto con le figlie, le dinamiche famigliari insegnano molto. Anche se “il sangue non è acqua”, se tracima fa grossi danni».
Tre generazioni in scena: nonna, figlie e nipoti. Tra quali lo scontro si rivela insanabile?
«Tra la madre e le figlie, che oscillano tra il compatimento per la malattia e un’insofferenza caricata di astio, rivalità, rancore. Tra loro non può esserci conciliazione. Eppure, i loro diverbi, quando si scopre che il padre si è suicidato, riescono a essere divertenti».
Possibile?
«La crudeltà, le frasi cattive che si vomitano addosso sono talmente incredibili, da suscitare nel pubblico risate fragorose, catartiche. Merito del testo, ma anche del regista».
Lo conferma il successo che questa pièce sta avendo ovunque, in Italia.
«Filippo Dini, assecondato da un ottimo cast, riesce ad approfondire lo studio dei personaggi, tutti importanti. E imprime un ritmo micidiale all’azione, che tiene il pubblico in tensione per tre ore intere che, a sentire molti spettatori, sembrano volare».
Com’è lavorare con Filippo Dini?
«Lui ha istituito un rapporto rispettoso, che definirei amoroso, con tutti noi. Tutt’altro che dispotico, è subito entrato in sintonia con il cast, perché ne fa parte egli stesso. E sa benissimo che quello del regista è un lavoro maieutico: più l’attore è lasciato libero di esprimersi, di far uscire la sua visione del personaggio, meglio riuscirà la sua interpretazione. Ho verificato questo anche con altri registi/attori, come Toni Servillo e Carlo Cecchi. Lo stesso Luca Ronconi, che mi ha diretto quando era ormai in là con gli anni, lasciava grande spazio agli attori, quelli di cui si fidava».
Che sensazioni prova, ogni sera, nell’interpretare Violet?
«Non certo simpatia. E guai se ne provassi: altererebbe il mio approccio. Eppure, lucida e spietata com’è, feroce ma capace di diventare tenera, è una figura, nella sua mutevolezza repentina, che mi affascina».
Come lei affascina ogni volta noi, con le sue interpretazioni. Qual è il personaggio in cui ha sempre sognato di entrare?
«Talmente tanti che non basterebbe una vita.

Hedda Gabler di Ibsen, o la Cleopatra di Shakespeare. Ma non vivo di rimpianti».

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