Pesaro, bancarotta: l'ex patron Vis
Bruscoli condannato a cinque anni

Pesaro, bancarotta: l'ex patron Vis Bruscoli condannato a cinque anni
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Venerdì 3 Maggio 2019, 07:05
PESARO - Tre condanne e un’assoluzione. Ieri la sentenza per il processo che riguardava l’accusa di bancarotta fraudolenta nei confronti di Giuseppe e Roberto Bruscoli della Tecnobrum, accusata di aver venduto materiali di scarto alla Lisco, una società libica, al posto di apparecchiature per la realizzazione di una centrale di depurazione per l’acqua a Misurata. Assolto Giacomo Bruscoli. Il caso riguardava la nota famiglia Bruscoli che in passato era legata anche alla Vis Pesaro. Gianluca è stato assolto per il fatto non sussiste. Era difeso da Paolo Biancofiore.
Per Giuseppe Bruscoli, 81 anni, difeso dall’avvocato Umberto Bianco è arrivata la condanna a 5 anni di reclusione per i reati di bancarotta distrattiva e documentale e per reato fiscale. Il pm aveva chiesto 6 anni e 6 mesi.
  
Per il figlio Roberto, 48 anni, difeso da Andrea Casula, condanna a 6 anni (il pm aveva chiesto 6 anni e 2 mesi) per gli stessi reati. Il senegalese, Sall Mbor Diagne, considerato la testa di legno, è stato condannato a 3 anni per bancarotta documentale. Prescritto per tutti il reato di falso in bilancio.
«Ci vorranno 90 giorni per le motivazioni – ha spiegato Umberto Bianco – poi cercheremo di capire la situazione che ha portato il giudice alla decisione e come muoverci per un ricorso in Appello. E’ ancora presto». Secondo l’indagine i due imprenditori pesaresi, Giuseppe e Roberto Bruscoli, nel periodo dal 2009 al 2011, tramite la loro società Tecnobrum, avrebbero simulato una fornitura di materiale per la costruzione di una centrale di depurazione acque nella città di Misurata, del valore di circa 9 milioni di euro, inviando prodotti di scarto. I finanzieri di Pesaro hanno anche accertato che parte dei pagamenti provenienti dalla Libia erano stati dirottati verso conti sammarinesi gestiti da un terzo membro della famiglia pesarese, Gianluca Bruscoli che nella Repubblica di San Marino operava attraverso una società finanziaria. Inoltre i finanzieri avevano accertato l’omessa dichiarazione dei ricavi per oltre 6 milioni di euro per l’anno 2012 da parte della Tecnobrum e l’omesso versamento delle relative imposte dovute.
Di qui un sequestro preventivo sino all’ammontare dell’imposta evasa di 1.630.939 euro. La società pesarese era stata dichiarata fallita nel 2014 su istanza della stessa società libica, e nel frattempo aveva cambiato amministratore nominando un cittadino di origine senegalese di 55 anni. Durante il dibattimento, alla richiesta di dove fossero i libri contabili e i computer, è emerso che tutto era stato portato in Africa dal senegalese. Il senegalese aveva rivestito 16 cariche formali in 10 diverse società, risultava anche proprietario al 100% di alcune di queste. Eppure viveva in condizioni disagiate, nell’entroterra pesarese, in un appartamento condiviso con numerosi familiari e connazionali.
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