Una piramide di soldi con i promoter di integratori, maxi sequestro da 7,3 milioni e 13 denunciati: 3 sono pesaresi

La Guardia di Finanza di Rimini al lavoro
La Guardia di Finanza di Rimini al lavoro
di Gianluca Murgia
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Mercoledì 11 Maggio 2022, 06:20

PESARO  - L’hanno chiamata Operazione Cheope ricordando la gigantesca piramide d’Egitto. Di piramidale, però, c’era solo la presunta attività illecita di vendita di integratori alimentari capace di genere, per restare in tema, un profitto da moderni faraoni: 7,3 milioni di euro.

Per l’equivalente della stessa somma, ieri mattina, è scattato il sequestro preventivo di attività finanziarie, beni immobili e mobili, emesso dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Rimini ed eseguito dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Rimini, nei confronti di 13 persone, tutte incensurate. Tra queste un 52enne di Vallefoglia (500mila euro sequestrate), un 35enne di Monteciccardo(350mila) e un 48enne di Pesaro (400mila). 

I 13 indagati sono ritenuti responsabili della promozione e realizzazione, in tutta Italia, di un network marketing riconducibile al solo reclutamento di persone (vietata dalla legge 173/2005 sulle vendite piramidali). Di fatto, secondo l’indagine, con la prospettiva di guadagni facili e immediati era stata creata una rete di oltre 10mila promoter. E Rimini, dal 2015, era diventata la base della società con sede a Milano e operante nel settore delle vendite “porta a porta”. Secondo quanto ricostruito la società acquistava gli integratori dagli Usa tramite una ditta olandese, senza mai versare l’Iva in Italia. Non solo: nei fatti non si premiava la vendita di quel prodotto (a cura degli incaricati, a loro volta clienti) ma solo la capacità di aggiungere nuove persone, e quindi quote, alla propria rete. Gli indagati, oltre ai pesaresi, risultano essere di Rimini, Cesena, Roma, Foggia e due di San Marino. I sequestri operati vanno da 200mila euro fino ai 2milioni (confiscati preventivamente al presunto apice piramidale). 

Il reclutamento dei futuri promoter avveniva sui social network, il passo successivo erano i meeting allargati e gli eventi di grande impatto dove gli ambassador illustravano alla platea i loro guadagni, il modo di lavorare, di cercare nuovi promoter e scalare così la piramide. Le quote di adesione andavano da 500 a 1.000 euro. La società non aveva strutture operative in Italia, le vendite di prodotti avvenivano tramite gli incaricati che erano allo stesso tempo loro stessi clienti. La commercializzazione dei prodotti da parte della società era già finita nel mirino di Striscia la Notizia nel 2020. Variegata la composizione dei 10.000 promoter: chi era in cerca di occupazione, chi ha investito i propri risparmi e chi avrebbe addirittura lasciato il lavoro principale prima di accorgersi che qualcosa non quadrava.

Centrale nelle indagini della Finanza è stata la decodificazione dell’opaco “piano incentivi” con il quale venivano calcolate le provvigioni. Di fatto tutto ruotava intorno all’affiliazione di nuovi proseliti e non alla vendita «ritenuta secondaria o ininfluente». Centrale era il «meccanismo per vendere una posizione all’interno della struttura stessa. Un sistema che ingenerava false speranze di guadagno dopo il pagamento di una quota iniziale, tendenzialmente elevata e sproporzionata rispetto al valore del bene acquistato».

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