L’alluvione? Evento imprevedibile: le 13 morti al centro dell’inchiesta

L’alluvione? Evento imprevedibile: le 13 morti al centro dell’inchiesta
L’alluvione? Evento imprevedibile: le 13 morti al centro dell’inchiesta
di Lorenzo Sconocchini
5 Minuti di Lettura
Lunedì 18 Settembre 2023, 04:05 - Ultimo aggiornamento: 19 Settembre, 08:32

ANCONA - Se davvero le piogge del 15 settembre 2022 furono un evento talmente eccezionale «che ha una probabilità di accadimento una volta oltre 1.000 anni» (come conclude il report dedicato dalla Protezione civile regionale a quei fenomeni meteo) allora l’esondazione dei fiumi Misa e Nevola era imprevedibile e forse inevitabile. Se «il fiume era salito di 6 metri in 2 ore», come s’erano affrettati a spiegare i responsabili del Centro funzionale di Protezione civile, parlando di un evento meteo così estremo e non prevedibile «alla luce delle conoscenze attuali», tanto che l’allerta meteo diramata per le Marche era gialla e solo per l’entroterra montano, allora c’è poco da obiettare sulla manutenzione dei corsi d’acqua e sui ritardi nelle casse d’espansione.


Le piogge record


Se in quel maledetto giovedì la stazione pluviometrica di Colle, tra Montecarotto e Serra de’ Conti «ha superato negli intervalli 3 e 6 ore con 162,4 mm e 186,4 mm i record storici di precipitazione di tutta la serie registrata nelle Marche a partire dal 1929», allora difficilmente si può parlare di evento prevedibile, un elemento essenziale per qualificare il reato di disastro colposo, l’omissione da parte di soggetti che per il loro ruolo sono chiamati a impedire che l’evento accada, a condizione appunto di poterlo prevedere.

Tutti motivi per i quali nell’informativa dei carabinieri forestali del Gruppo Ancona e del Nucleo investigativo del capoluogo, delegati dalla Procura dorica a indagare sull’alluvione di un anno fa, l’attenzione si concentra soprattutto su una domanda: se anche l’alluvione non fosse prevedibile, le 13 morti che si sono avute nel bacino idrografico del Misa e Nevola,, erano davvero inevitabili? La risposta che sembra arrivare dall’inchiesta (“no”, almeno in quelle dimensioni) è motivata in gran parte dalle tre ore di ritardo accumulate da quando il superamento della soglia critica del Misa a Serra de’ Conti fece scattare l’allarme nella sala operativa unificata permanente della Protezione civile Regionale (ore 19 e 05) a quando dalla stessa centrale Soup (ore 22) cominciarono a dare l’allarme ai sindaci della Vallata, chiamandoli al telefono. Ormai da quasi due d’ore si cominciavano a cercare i dispersi trascinati dalla piena dei fiumi esondati. 


Donne, uomini e bambini che - in assenza di un allarme - anziché mettersi al riparo avevano continuato ad andare in strada, attraversando ponti una spanna sopra i fiumi e scendendo nei garage per salvare le auto. Tredici di loro sono strati trascinati via dalla piena. Il motivo del ritardo, secondo quanto accertato dalla polizia giudiziaria, sarebbe soprattutto in un’anomalia del sistema di monitoraggio e allertamento della rete fluviale della Regione Marche, che in base a un decreto del 2016 faceva scattare l’obbligo di segnalazione solo al superamento dei livelli nell’unico idrometro ritenuto significativo, quello di Bettolelle, alle porte di Senigallia, 20-30 km più a valle rispetto ai primi centri della media vallata investiti da uno tsunami di acqua e fango già dalle 8 di sera.


Il flusso informativo 


E’ per questo che i detective dell’Arma, nella loro informativa completata a febbraio, concentrano l’attenzione soprattutto sul flusso delle informazioni e sui tempi dell’allarme, individuando una quindicina di persone - nella filiera di Protezione civile che va dai livelli comunali a quello regionale - potenzialmente responsabili di omissioni nel loro ruolo di garanzia. L’indagine, che ipotizza i reati di omicidio colpo plurimo e inondazione colposa, ha lasciato per ora in secondo piano l’aspetto legato alla mitigazione del rischio idrogeologico, compresa la manutenzione dei corsi fluviali, che pure sono stati monitorati con centinaia di foto ad alta risoluzione scattate durante un sorvolo dell’Arma nei giorni successivi all’alluvione, per controllare lo stato delle aste fluviali e delle sponde. Perché evidentemente si è ritenuto quasi impossibile da valutare che peso abbiano avuto, ad esempio, i tronchi d’albero e i rami secchi abbandonati sui letti dei fiumi nel fare da “tappo” all’altezza dei ponti, quando lo tsunami di acqua e fango ha pure strappato via molti alberi piantati sui versanti dei fiumi, ben al di sopra le sponde, dove per legge non sussiste obbligo di manutenzione.


La mitigazione del rischio


Ma se quest’aspetto della mitigazione del rischio idrogeologico resta per ora sullo sfondo, non significa che non venga esplorato. Non a caso la Procura dell’Aquila - a cui da marzo l’inchiesta è passata per un’incompatibilità legata alla presenza tra i danneggiati dall’alluvione di un magistrato in servizio ad Ancona - ha disposto una consulenza tecnica proprio per esaminare tutti gli aspetti della prevenzione, non solo quelli legati a un possibile ritardo nell’allertamento della popolazione. Entro un paio di mesi, da quel filtra dalla Procura aquilana, la consulenza tecnica dovrebbe essere completata, mettendo sul tavolo del pm Fabio Picuti tutti gli elementi utili per decidere a chi inviare gli avvisi di garanzia. 
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA