Macerata, le motivazioni della sentenza su Oseghale: «Ha dato l’eroina a Pamela, poi l’ha violentata e uccisa a coltellate»

Le motivazioni della sentenza: «Oseghale ha dato l’eroina a Pamela poi l’ha violentata e uccisa a coltellate»
Le motivazioni della sentenza: «Oseghale ha dato l’eroina a Pamela poi l’ha violentata e uccisa a coltellate»
di Benedetta Lombo
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Venerdì 26 Maggio 2023, 02:35 - Ultimo aggiornamento: 16:32
MACERATA Pamela Mastropietro «non avrebbe mai potuto acconsentire – né aveva acconsentito – ad un rapporto sessuale non protetto con l’imputato». Lo scrivono i giudici della Corte d’Assise d’Appello di Perugia nelle motivazioni della sentenza con cui il 22 febbraio scorso hanno riconosciuto l’aggravante della violenza sessuale confermando la sentenza emessa nei confronti di Innocent Oseghale dalla Corte d’Assise di Macerata il 29 maggio 2019.  



In 17 pagine i giudici umbri, chiamati a pronunciarsi sul punto dalla Corte di Cassazione, hanno ripercorso l’iter giudiziario e spiegato come sono arrivati alla loro decisione. La questione era nata da una contraddittorietà di fondo: in primo grado i giudici avevano ritenuto che la violenza sessuale nei confronti della 18enne romana (uccisa e fatta a pezzi dal nigeriano il 30 gennaio del 2018 nella sua abitazione di via Spalato) fosse stata consumata approfittando delle condizioni di inferiorità psichica di Pamela che aveva appena assunto eroina e che soffriva di patologie pregresse (ci sarebbe dunque stato un approfittamento da parte del nigeriano perché Pamela non era in grado di esprimere un eventuale consenso), mentre i giudici di secondo grado avevano ritenuto che la violenza si sarebbe consumata dopo il rifiuto di Pamela ad avere un rapporto non protetto (in questo caso ci sarebbe stata una costrizione con Pamela che era in grado di scegliere le modalità del rapporto) per poi però riprendere la circostanza della condizione di menomazione psichica della ragazza. Per sciogliere questo nodo i giudici avevano voluto sentire in aula i due uomini che il giorno prima dell’uccisione di Pamela avevano avuto con lei rapporti sessuali e quando si è trattato di decidere hanno scelto un approccio “dinamico”, a loro avviso ci sarebbe stata prima una costrizione e poi un approfittamento.

Questa è stata la loro ricostruzione: dopo il suo allontanamento dalla Pars, con il passare delle ore, Pamela aveva avuto il bisogno sempre più forte di assumere droga. Non disponendo di soldi «il vendere il proprio corpo era l’unica drammatica opzione di “sopravvivenza” che le era rimasta».

Lo scambio

Oseghale avrebbe «volutamente ritardato il momento di assunzione dello stupefacente da parte di Pamela – scrivono i giudici - proprio per condurla presso la sua abitazione e qui “ricevere” il corrispettivo più o meno esplicitamente concordato e cioè intrattenersi sessualmente con lei». Pamela avrebbe quindi assunto l’eroina per «placare quel turbine di sofferenza psicofisica che si era scatenato in lei, anche a cagione del protratto vagabondare senza meta non più provvista della copertura apprestata dalle terapie antagoniste somministrate in comunità. Oseghale, pretendendo di consumare un rapporto non protetto aveva preso dapprima a percuoterla e colpirla per vincere la resistenza della ragazza che, però, diveniva sempre più flebile al progressivo manifestarsi degli effetti dello stupefacente appena assunto; poi, una volta subentrato appieno lo stato di obnubilamento psico-fisico conseguente al completo manifestarsi dell’effetto drogante, aveva portato a termine l’atto sessuale non protetto agendo dunque in sprezzante trasgressione di quelle modalità di consumazione assai più sicure che la povera Pamela non poteva non aver richiesto». 

La reazione
 

Finiti gli effetti della droga e redendosi conto di quanto accaduto Pamela reagì e Oseghale decise «di risolvere il problema aggredendola fisicamente con le due coltellate sino portare a termine l’azione omicidiaria dedicandosi poi, con fredda lucidità, a cercare di far scomparire totalmente le tracce biologiche che avrebbero potuto ricondurre alla sua persona».

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