La Mostra di Venezia si proietta oltre la crisi

La Mostra di Venezia si proietta oltre la crisi

di Giovanni Guidi Buffarini*
3 Minuti di Lettura
Venerdì 31 Luglio 2020, 10:50
Saltare l’anno sarebbe stata la scelta più dolorosa eppure più ovvia. Arrendersi al Covid e tornare nel 2021 a Covid sconfitto, perché Covid sconfitto sarà, dal vaccino più veloce della storia, da una cura specifica infallibile, dall’alabarda spaziale, qualsiasi arma purché letale ci va bene, basta arrivi presto. Niente Mostra di Venezia? Avremmo capito, accettato soffrendo. Invece si farà, e ne siamo felici. Dal 2 settembre al 12. Con meno film (non tanto in concorso quanto nelle sezioni collaterali), meno star, qualche americano indipendente ma niente Hollywood. Sarà un’edizione in tono minore? Possibile, diciamo pure probabile. E tuttavia non è detto. Il cinema è qualcosa di molto più grande di quanto non si possa evincere dalla programmazione delle nostre sale (e a proposito, sarebbe bello a settembre riaprissero tutte: difficile). Il mondo è pieno di bravi autori noti a pochissimi, relegati ai margini anche dai festival. Sarà un’edizione per spettatori più curiosi della media, a cui potrebbe riservare qualche notevole scoperta. Non dovrebbe essere poi questa la principale funzione dei festival? Diamo allora uno sguardo al programma allestito e rivendicato con orgoglio dal direttore Barbera. Programma come sempre suscettibile di integrazioni fini all’ultimo minuto. Sessantadue lungometraggi più quindici corti. E proiezioni moltiplicate per garantire il distanziamento. In concorso spiccano i film del giapponese normalmente efferato Kiyoshi Kurosawa (ma “Wife of a Spy” promette di inoltrarsi nei territori del dramma familiare senza ricorrere a sanguinarie entità), della polacca Malgorzata Szumowska habitué dei festival (“Never Gonna Snow Again”), della cinese trapiantata negli Usa Chloé Zhao (“Nomadland” con Frances McDormand e David Strathairn), dei veterani Amos Gitai (“Laila in Haifa”) e Andrei Konchalovsky (“Dear Comrades”). E troviamo film provenienti dall’India, dell’Ungheria, dalla Bosnia Erzegovina, da Iran, Messico, Azerbaijan. L’Italia corre per il Leone con quattro titoli. “Miss Marx” di Susanna Nicchiarelli: biografia di Eleanor Marx, ultimogemita di Karl, redattrice letteraria, militante socialista impegnata nel rivendicare i diritti delle donne; “Le sorelle Macaluso” di Emma Dante, dalla omonima piece teatrale: cinque donne in un appartamento palermitano; “Padrenostro” di Claudio Noce: un uomo viene assassinato da terroristi nella Roma anni Settanta, la moglie e il figlio assistono alla tragedia; “Notturno”, il nuovo documentario che Gianfranco Rosi ha girato in varie zone di guerra del Medioriente. Italiani anche i film d’apertura e chiusura: “Lacci” di Daniele Luchetti (Alba Rohrwacher, Luigi Lo Cascio, Silvio Orlando, Giovanna Mezzogiorno nel cast) e “Lasciami andare” di Stefano Mordini con Stefano Accorsi, Valeria Golino e Maya Sansa. Relegato nella sezione Orizzonti il maestro filippino Lav Diaz che nel 2016 vinse il Leone d’oro con “The Woman who Left” e fu l’unico Leone a non venir distribuito nelle nostre sale, non sia mai la cosa si ripeta. Sempre in Orizzonti, il “Guerra e pace” (ma Tolstoj non c’entra) degli ottimi, avventurosi, fuori norma, Massimo D’Anolfi e Martina Parenti. Fuori concorso il doc “Ferragamo” di Guadagnino, e i nuovi Frederick Wiseman, Michell e Andrea Segre e Abel Ferrara. E il titolo che da solo varrebbe la trasferta veneziana: “Orson/Hopper”, ennesimo “film ritrovato” di Welles. Orson e Dennis Hopper a cena nel novembre 1970, due ore di chiacchiere filmate con due cineprese. Spazio inoltre al primo episodio della serie tv di Alex de la Iglesia “30 monedas”, mentre non sono previste produzioni Netflix: che il colosso dello streaming stia perdendo interesse nei festival? Spiace di più l’assenza di Nanni Moretti. “Tre piani” è pronto da quel dì, doveva andare a Cannes. Portarlo al festival e distribuirlo a settembre sarebbe stato un segnale forte di ritorno alla normalità. E sarebbe stato bello per noi veder sfilare sul tappeto rosso la giovane attrice marchigiana Denise Tantucci. Pazienza, non le mancheranno occasioni di percorrere tappeti rossi quando il Covid sarà morto, e morto male. Grazie al vaccino, a una cura, all’alabarda spaziale & lame rotanti, a quel che sia, basta sia presto.

* Opinionista e critico cinematografico
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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