Due condizioni di disagio estremo sono venute tragicamente a contatto sull’ormai celebre marciapiede di Civitanova Marche: da un lato il disagio esistenziale di quelle che il filosofo Alessandro Dal Lago definiva non-persone, nel senso di esseri umani privati di competenze comunicative e mancanti di teatri performativi complessi (diritto di scelta, mobilità sociale positiva, ecc.); dall’altro il disagio psichico di un uomo con seri disturbi della personalità, incapace di opporre un freno inibitorio ai guasti provocati dalla consapevolezza di non riuscire ad assimilare in termini di piena soggettivazione la pressione imposta – in modo sostanzialmente inconscio – dai modelli vincenti della società-mondo.
Il TSO di un anno fa era stato l’ennesimo tentativo di omogeneizzare vicenda biografica e competenze sociali, cercando strade medicalmente assistite per ovviare all’insuccesso del percorso di interiorizzazione di un mondo che Ferlazzo odia in profondità. Una condizione di disagio andrebbe interpretata a fronte di quella di agio e padronanza di sé della persona “normale”, ma a Civitanova i c.d. normali erano quelli che assistevano all’aggressione riprendendo l’omicidio con i telefoni. Tuttavia, nei commenti piuttosto variegati alla vicenda, in pochi hanno sottolineato che tutti noi ormai apparteniamo a quella che lo psichiatra francese Alain Heremberg ha perentoriamente etichettato come società del disagio, convincimento a dir poco tempestivamente confermato da un’altra, furibonda, lite scoppiata qualche ora dopo a pochi metri dal luogo dell’uccisione di Alika Ogorchukwu. La filosofa Francesca Rigotti sostiene che stiamo transitando dall’era dell’individualismo a quella del singolarismo, dove un numero sempre maggiore di persone, spesso inconsapevoli di far parte di una tendenza, non si aspetta più il generale, ma sempre lo speciale, in ogni contesto esperienziale e di relazione. I protagonisti della tragedia in oggetto non avevano compiuto questo passaggio restando indietro rispetto ad un certo orizzonte socializzativo standard.
Nella nostra società la sostituzione dei significati con le funzioni fa essere le persone facilmente avvicendabili, eliminando la matrice identitaria della coincidenza tra unicità di un corpo-cervello-mente e sua specifica vocazione nel mondo. La balbettante consapevolezza di questa profonda metamorfosi che viviamo scatena violenza ed aggressività, con gli incontri che possono diventare ovunque scontri, fortuiti e fatali. In condizioni di complessità tali da garantire ancora una certa corrispondenza tra il sociale e lo psichico, dove l’ambito sociale poteva configurarsi come la somma espressiva di molteplici manifestazioni dello psichico, il disagio testimoniava la sottrazione di una traiettoria di vita alle dimensioni di senso statuite in appartenenze identitarie stabili. Ma nell’ultimo cinquantennio, le forme di socializzazione non riescono più a garantire la permanenza nel sociale di una qualche capacità di corrispondenza con gli universi psichici.
*Sociologo della devianza e del mutamento sociale