Quello spazio da recuperare per dare respiro al dialogo

Quello spazio da recuperare per dare respiro al dialogo

di Don Aldo Bonaiuto
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Domenica 23 Febbraio 2020, 05:10
La questione, sintetizzata in poche righe, è semplice: cosa serve al dialogo? La risposta è intuitiva: la condizione essenziale per dialogare è quella di dimostrarsi capaci di mettersi al punto di vista dell’altro. Come ci ha ricordato più volte il Pontefice, non esiste situazione che non possa essere pacificata attraverso un onesto scambio di prospettive. Il dialogo scaturisce da un atteggiamento di rispetto verso l’altro e dalla convinzione che il prossimo abbia qualcosa di valido da sostenere. Il presupposto è che recuperiamo la possibilità di fare spazio nel nostro cuore, altrimenti le opinioni, le proposte e la visuale dell’altra persona diventano un’isola lontana e ostile. Al contrario, dialogare veramente, comporta un’accoglienza sincera invece che una condanna preventiva. Per non diventare una civiltà spietata, ciò deve valere in ogni ambito civile, religioso, giuridico. Confrontarsi, riuscire ad abbassare le difese, aprire le porte di casa, donare calore umano: questi sono gli unici quattro vaccini in grado di fermare l’epidemia dell’odio. Un’opportunità storica si è aperta questa settimana a Bari con l’incontro – che si conclude oggi con la visita di Papa Francesco – tra le chiese di tutto il Mediterraneo con il proposito di trasformare il Mare nostrum in un immenso corridoio di dialogo. Ho avuto la possibilità di assorbire l’emozione di alcuni partecipanti provenienti da realtà tormentate dalla guerra, dalle persecuzioni e dalla miseria: posso perciò testimoniare di avere chiara la percezione di un momento irripetibile. Mentre il mondo alza muri, i discepoli di Cristo costruiscono ponti. Ciò rappresenta un modello di concertazione utile anche nei tormentati palazzi della politica. Ho un sogno. Vorrei che la stessa attitudine a confrontarsi a partire da ciò che unisce piuttosto che da ciò che divide, fosse dimostrata anche in ambito nazionale. La lezione che porto con me è quella di un prete di strada incamminato oggi verso l’onore degli altari. La porta di don Oreste Benzi era sempre accessibile a chiunque. Non serviva una patente di cattolicità per sedersi a parlare con un testimone del Vangelo. L’esempio di don Benzi è particolarmente attuale in una fase storica come questa, nella quale sembra diventato necessario un avallo ufficiale anche per chiedere consiglio su quale presenza avere nella vita pubblica. In realtà, non è cristiano chi dice di esserlo, ma chi si comporta come tale. Non devono esistere corsie preferenziali per il dialogo tra Stato e Chiesa, se non quella del comune interesse per il bene pubblico. Ad accomunare sfera civile e contesto religioso non può essere altro che la sollecitudine per le tante esigenze collettive e individuali che caratterizzano il terzo millennio globalizzato. Da qui la necessità, come raccomanda il Santo Padre, di non sbarrare mai l’ingresso della Chiesa, che sempre più deve essere una casa di vetro senza portoni. Nei giorni scorsi abbiamo avuto l’inequivocabile e dolorosa prova che alcuni settori dichiaratamente ostili all’attuale pontificato non riconoscono alcun merito neppure quando viene confermata la continuità con l’insegnamento tradizionale della Chiesa cattolica. “La teoria Gender è una modalità attraverso cui il male si fa presente e agisce nella nostra epoca storica”, ha detto l’attuale Pontefice nel libro-intervista dedicato alla figura di Giovanni Paolo II. E ancora nell’esortazione apostolica “Querida Amazonia” viene ribadita la bellezza della dottrina millenaria del sacerdozio, senza aperture al celibato ecclesiastico e ai viri probati. Risultato? Il silenzio assordante dei solitamente loquaci paladini anti-Bergoglio. Ciò conferma che qualunque cosa venga detta da Francesco è immediatamente tacciabile di discontinuità con i pontificati precedenti, anche quando i temi, le soluzioni, i linguaggi sono totalmente sovrapponibili. Troppo facile inventarsi un Papa contro la tradizione, quando invece sono proprio i sedicenti tradizionalisti a infrangere la bimillennaria fedeltà del gregge al proprio pastore. Forse serve una rinfrescata a certi improvvisati cultori ecclesiologici perché: “Ubi Petrus, ibi ecclesia” (dove è Pietro lì è la Chiesa).

*Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII
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