Uomini e spettri sui lettini nell’hotel sotto le stelle

Uomini e spettri sui lettini nell’hotel sotto le stelle

di Emanuele Coppari
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Giovedì 3 Agosto 2023, 03:35 - Ultimo aggiornamento: 21:20

«Chissà cosa lasciano su quei lettini». Sei parole per definire la sensazione di essere accerchiati da quelli là, assediati dall’altro che cerca solo sprazzi di vita ma non riesci più ad accettarlo perché adesso ce l’hai così vicino, quasi lo tocchi. E ti viene addosso, fino a farti sentire l’odore dell’emarginazione disperata, a respirare il fiato grosso della fatica di vivere di stenti. Gli uomini-spettri occupano il tuo spazio, invadono il tuo relax in riva al mare, perché sul lettino che di notte ha fatto da giaciglio a quei fantasmi in (poca) carne e (tante) ossa, senza casa e senza identità, di giorno ti stendi al sole. Ne hai tutto il diritto, nel mare della tua Ancona.

Poi bastasse un colpo di straccio passato sulla stoffa delle sdraio a risolvere il problema degli homeless. Sarebbe come credere di non ritrovarli più al Passetto dopo l’ennesimo blitz della polizia locale, mercoledì, chiamato a gran voce dai bagnanti che gridavano alla vergogna e chiedevano decoro e dignità, per loro e per quell’umanità derelitta. Utopia. Perché loro torneranno. Come hanno fatto dopo il 28 marzo scorso, quando gli agenti della Municipale hanno sgomberato dall’atrio degli ascensori un gruppetto di pakistani con le coperte sudice lasciandoli senza casa e senza una meta. Nessuno li ha portati in un posto dove dormire, e loro hanno fatto ritorno sotto il Monumento, aspettando un assist della sorte come quando c’è stato il guasto all’impianto di risalita, puntualmente (ri)diventato la camera dell’hotel sotto le stelle.

La politica del repulisti serve ma non paga, l’invasione si sposta, si perpetua, diventa endemica. Migranti in cerca di regolarizzazione, richiedenti asilo, ma anche italiani caduti nel baratro del bisogno, barboni per scelta (non si sa quanto davvero consapevole e volontaria) rispuntano come funghi. Una task force li caccia dall’ombra dell’ex stazione marittima applicando un’ordinanza ad hoc dell’Autorità portuale per garantire la sicurezza nell’area dello scalo, loro raccolgono i miseri bagagli e vanno a invadere il porticato di un condominio di via Curtatone, costringendo i residenti allo slalom tra coperte, stracci e lenzuola: l’accampamento sotto casa.

Via di lì? C’è il cantiere al rallentatore della scuola Antognini di via Canale: quante volte gli operai hanno trovato sulle impalcature sacchi a pelo e letti arrangiati. Un nascondino senza fine. In via Torresi gli stabili abbandonati trasformati in dimora dagli sbandati. Come le palline di un flipper i clochard rimbalzano ovunque. Fai un giro in centro e li vedi spalmati sulle panchine di piazza Cavour, rannicchiati davanti alle vetrine del Corso e sotto la Galleria Dorica, accovacciati sotto il palazzo della Rai.

Teppisti danno fuoco al palaVeneto, e scopri che pure l’ex tempio dello sport indoor è stato violato e utilizzato dai poveracci per trovare un riparo. Soccorrerli è un obbligo, allontanarli a volte inevitabile, soprattutto quando c’è la seria possibilità di accendere tensioni sociali, ma tanto loro tornano e li ritrovi dappertutto. Come replicanti. E possono alimentare forme di esasperazione, addirittura di discriminazione. La giostra dei bivacchi va fermata, per arginare la deriva d’insofferenza. Per farlo, occorre che tutti i soggetti interessati - istituzioni, mondo del volontariato e associazioni impegnate nel sociale - facciano la propria parte per una soluzione strutturale.

Qui si parla soprattutto di migranti, per i quali ci sono due vie che sembrano obbligate. Una conduce a velocizzare l’iter per identificare i tanti mister X che approdano dalle nostre parti lasciandosi alle spalle un inferno di guerra a povertà, per metterli in condizione di ottenere status e permessi, e poi accompagnarli a trovare un lavoro e un alloggio, insomma a costruirsi una vita. Ma intanto - è l’altro sentiero da percorrere - in attesa che la burocrazia faccia il suo tortuoso corso, occorre adottare misure tampone. Che significa offrire una forma di accoglienza, aumentare i posti disponibili nelle strutture comunali, cercarne altre da privati e organizzazioni no profit. E porre un freno all’occupazione di pezzi di città, che prende linfa dal turnover dei disperati che si passano il testimone della povertà. I nuovi arrivati si mettono in fila per guadagnarsi un posto nell’ennesimo albergo a cielo aperto. Indirizzi sconosciuti dei clochard fantasma, persone di cui bisogna accorgersi: per umanità e per la sicurezza di tutti. 
 

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