ANCONA - «Vogliamo la verità anche noi». Nel giorno del dolore, il fratello delle 15enne bengalese che si è lasciata cadere dal balcone di casa si è fatto portatore del tarlo che da una settimana sta struggendo la sua famiglia. Una famiglia che ha bisogno di capire il perché di quel gesto estremo che ha tolto la vita a una ragazzina che aveva da poco compiuto 15 anni. Sul caso la procura ha aperto un fascicolo per istigazione al suicidio: il papà, operaio, è l’unico indagato.
La funzione
Ieri mattina, all’obitorio dell’ospedale di Torrette la comunità bengalese e quanti conoscevano la giovane si sono riuniti per la commemorazione funebre, celebrata con i dettami della fede islamica. È stata l’imam donna a svolgere il rito del lavaggio di purificazione della salma.
La timidezza
Oltre alla comunità bengalese, ben presente al Piano, quartiere dove la ragazzina viveva, c’erano alcuni suoi ex insegnanti e anche due educatori del centro ricreativo Trovamici di via Torresi, una struttura frequentata dalla 15enne fino alla scorsa estate. «Me la ricordo molto educata e simpatica, quella sua timidezza ogni tanto si faceva notare» dice Arturo Matta. E ancora: «Era socievole, ma riservata. Una ragazza come tante delle sua età». Apparentemente, nessun segno di disagio visibile da far pensare a un gesto estremo. All’obitorio c’era l’avvocato, Iacopo Casini Ropa, difensore del papà indagato, che deve ancora essere ascoltato dal pm. «La famiglia non si capacita di una tragedia del genere. Non c’erano situazioni di particolare tensione, oggi (ieri, ndr) è la giornata del dolore. In questo momento è la figlia di tutti». Il difensore parla di una famiglia «unita e allargata» perché in casa vivevano più persone. Una famiglia, a detta della comunità bengalese, ben integrata, lontano dalle usanze dei matrimoni forzati.
I servizi sociali
La situazione della ragazzina era seguita dai servizi sociali. Erano stati allertati nei mesi scorsi dopo una richiesta di aiuto fatta a una docente: «Mi vogliono portare in Bangladesh per farmi sposare». Era partito l’iter al tribunale dei minorenni al termine del quale il papà e la mamma erano stati giudicati «sufficientemente adeguati» a mantenere la potestà genitoriale. L’emergenza sembrava essere rientrata, anche se la minore continuava a interfacciarsi con gli psicologi dello sportello scolastico. Sembrava, perché una settimana fa è riesplosa con la morte della ragazzina.