Incinta e positiva, torna a casa dopo 21 giorni all'ospedale: «Ho avuto paura di non farcela, non sopporto i negazionisti»

La Rianimazione del Salesi
La Rianimazione del Salesi
di Stefano Rispoli
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Mercoledì 3 Febbraio 2021, 03:55 - Ultimo aggiornamento: 4 Febbraio, 08:30

ANCONA - «Ho avuto paura, tanta. Più per mia figlia che per me», sospira Anna. A trent’anni, lei e la bimba che porta in grembo hanno rischiato di non farcela. Il Covid si è insinuato subdolamente nei suoi polmoni. «La febbre, la fatica a respirare, la saturazione sempre più bassa», ricorda. Poi, il ricovero al Salesi, il 13 gennaio. In Rianimazione pediatrica è rimasta fino a venerdì sera, prima di essere trasferita in Ostetricia. Oggi le dimissioni. 

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«La prima cosa che farò? Guardare negli occhi il mio compagno, dirgli che lo amo.

E poi una doccia» dice la futura mamma d’origine pugliese ma trapiantata da anni ad Ancona. Era alla ventitreesima settimana di gravidanza quando ha conosciuto da vicino il Covid. «Tutto è iniziato il 6 gennaio - racconta -. Avevo dolori muscolari, specialmente alle gambe. Il medico pensava fosse una sciatica, ma quando sono sopraggiunte la tosse e la febbre, ci siamo allarmati. Facevo fatica anche ad alzarmi dal letto e non riuscivo a fare respiri lunghi, come se avessi un peso nei polmoni. Il 12 ho fatto il tampone. Il giorno dopo mi hanno ricoverata al Salesi, prima in Ginecologia, poi in Rianimazione perché la saturazione continuava a scendere». 


Un calvario. «Dei primi giorni ricordo poco - racconta -. Mi hanno messo la maschera per l’ossigeno, hanno cominciato la terapia. Ero spaventata, avevo paura che non ce l’avrei fatta. Ma soprattutto ero terrorizzata per mia figlia: ogni giorno mi facevano sentire il suo battito, ma io ero comunque preoccupata». Alle cure, però, Anna ha risposto bene. Certo è stata dura. «Ero chiusa in una stanza, da sola, senza poter vedere nessuno, se non i medici e gli infermieri. Sono stati degli angeli, non dimenticherò mai il primario Alessandro Simonini, il dottor Simone Pizzi e tutti i professionisti di quel team eccezionale. Anche se nascosti dietro una maschera, riuscivano a farmi sorridere. E mi hanno fatto un grande regalo: farmi parlare in videochiamata con la mia famiglia e il mio compagno. Erano piccoli momenti di distrazione, ma importantissimi perché isolata in quella stanza il tempo non passava mai». 


«Se mi guardo indietro, mi vengono i brividi - dice -. Ringrazio Dio per avermi aiutato a superare questa malattia. Quando sento dire che il Covid non esiste e colpisce solo gli anziani, vado in bestia. Io davvero ho temuto di morire». E invece Anna sta per tornare a casa, anche se attende l’esito dell’ultimo tampone, sperando sia negativo. A metà maggio darà alla luce la sua adorata bambina. È la vita che trionfa sul Covid. 

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