L'untore Hiv ai domiciliari, il procuratore generale Sottani si oppone: «Pinti può essere curato in carcere»

Claudio Pinti, il 38enne condannato per aver trasmesso l'Hiv alla compagna
Claudio Pinti, il 38enne condannato per aver trasmesso l'Hiv alla compagna
di Federica Serfilippi
3 Minuti di Lettura
Venerdì 7 Maggio 2021, 07:55

ANCONA - La procura generale contro la scarcerazione concessa a Claudio Pinti, il 38enne condannato fino al secondo grado per aver trasmesso l’Hiv all’ex compagna, Romina Scaloni e a Giovanna Gorini, morta nel 2017 e madre di sua figlia.

Crolla il ponteggio di un alloggio per terremotati: tre operai feriti, uno è grave

Denise Pipitone, l'appello della mamma: «Chi sa, parli. Non potete tenervi sulla coscienza questo peso»

Ieri mattina, gli uffici coordinati dal dottor Sergio Sottani hanno impugnato l’atto con cui lo scorso 30 aprile i giudici della Corte d’Appello di Ancona hanno ridimensionato la misura cautelare di Pinti, dando il nulla osta per gli arresti domiciliari con il dispositivo elettronico. «Non riteniamo incompatibile la permanenza a Rebibbia - spiega Sottani -, può essere curato dal carcere».

Ora, sarà il Tribunale di Sorveglianza a fissare un’udienza per discutere la legittimità del provvedimento emesso dal palazzo di giustizia di via Carducci e chiesto più volte negli ultimi mesi dal difensore Massimo Rao Camemi. A rappresentare la procura generale sarà la dottoressa Cristina Polenzani. Il ricorso non ha valore sospensivo. Nel senso che non ha il “potere” di bloccare la decisione della Corte d’Appello e, dunque, il trasferimento di Pinti dal carcere di Rebibbia ai domiciliari, a casa dei genitori. L’imputato, condannato a 16 anni e 8 mesi in abbreviato per omicidio volontario e lesioni gravissime, non potrà in alcun modo comunicare con l’esterno ma potrà recarsi all’ospedale di Torrette (senza scorta) per esigenze mediche. 

L’impugnazione era stata chiesta a gran voce dalle parti civili: Romina, la donna che ha denunciato Pinti nel maggio del 2018, e i familiari di Giovanna, entrati in un secondo momento nell’inchiesta condotta sul campo dagli investigatori della Squadra Mobile. «Pinti – si legge in un passo dell’istanza inviata alla procura generale dall’avvocato Alessandro Scaloni, legale di Romina - non ha mai dimostrato pentimento per quanto è accaduto, né ha mai inviato lettere di scuse alle parti civili o formulato proposte risarcitorie.

I suoi comportamenti, ivi compresa la protesta attuata da Pinti ed il presunto sciopero della fame, risultano spinti da interessi esclusivamente personali ed egoistici, di certo non sufficienti a ritenere definitivo l’abbandono delle teorie negazioniste».

Padre, madre e sorella della Gorini, deceduta per una patologia tumorale connessa all’Hiv, sono assistiti dai legali Cristina Bolognini ed Elena Martini: «Nessuna parola di scuse o conforto per i familiari di Giovanna – hanno scritto nella loro istanza -. Ora la sostituzione della misura cautelare è un duro colpo per la famiglia Gorini, la paura che Pinti possa minacciare l’incolumità della collettività e soprattutto possa attentare alla vita di chi l’ha denunciato è forte. Pinti è pericoloso per la collettività e per i familiari della vittima, ondivago nel difendere e poi abbandonare le proprie idee negazioniste per ottenere benefici».

Proprio «il definitivo abbandono degli atteggiamenti negazionisti» verso il virus dell’Hiv è stato citato nel provvedimento della Corte d’Appello come una delle motivazioni che hanno portato alla modifica della misura cautelare. Per far sentire la sua voce, Romina ha anche diffuso un video social in cui ha espresso il disappunto, la costernazione e la paura («Sono ripiombata in un incubo») provati subito dopo la notizia della scarcerazione di Pinti. Il video è diventato virale in pochissime ore, ottenendo centinaia di condivisioni. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA