L’inganno delle residenze fantasma di Pietralacroce: tre condanne per Coop Casa Marche

Il fallimento nel 2016 di Coop Casa Marche

L’inganno delle residenze fantasma di Pietralacroce: tre condanne per Coop Casa Marche
di Federica Serfilippi
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Venerdì 30 Aprile 2021, 06:25 - Ultimo aggiornamento: 16:06

ANCONA -  Tre condanne e un’assoluzione. È finito con questo verdetto il processo nato dal crac di Coop Casa Marche, cooperativa di costruzioni dichiara fallita dal tribunale nel giugno 2016, dopo aver realizzato solo la metà degli appartamenti previsti (un centinaio in tutto) nei cantieri di Pietralacroce.

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Uno di quelli non portati a termine era stato assegnato a Cristiano Gambelli, l’unico ex socio ad essersi costituito parte civile nel procedimento che si è tenuto davanti al collegio penale presieduto dal giudice Francesca Grassi.

Le condanne, decretate ieri: quattro anni e due mesi per Maurizio Pesaresi, di Offagna, ex storico presidente della cooperativa; tre anni e otto mesi per Paolo Naponelli, di Camerano, ex componente del consiglio di amministrazione, un anno e sei mesi (pena sospesa) a Ulisse Melappioni, civitanovese e socio rappresentante della “Habita Service”, società di servizi ritenuta dalla procura referente della Coop Casa Marche e che vedeva come soci gli stessi Pesaresi e Naponelli.


Assolto Volfrano Ramacogi, di Offagna, all’epoca dei fatti ex vicepresidente della Coop Casa.

Anche il pm Marco Pucilli aveva chiesto il proscioglimento dell’ex numero due della cooperativa. A tutti veniva contestato il reato di bancarotta (documentale e fraudolenta), a Melappioni e Pesaresi anche la truffa aggravata. Ed è solo per quest’ultima accusa che è stato condannato il socio rappresentante della Habita perché, stando alla procura, in concorso con l’ex presidente della coop, aveva spinto Cristiano Gambelli a versare tra il 2009 e il 2013 179.920 euro per l’assegnazione di uno degli appartamenti in costruzione a Pietralacroce «tacendo la situazione economica in cui versava la cooperativa e il rallentamento dei lavori, garantendo anzi che gli alloggi sarebbero stati completati in breve tempo».


Gambelli, che con la sua denuncia aveva dato il via all’indagine, riceverà un risarcimento del valore di 220mila euro. All’esito della sentenza, si è stretto in un abbraccio commosso con la moglie e Andrea Marini, l’avvocato che li ha assistiti nel corso del processo lungo quasi due anni. Per quanto riguarda l’accusa di bancarotta, la procura sosteneva come gli ex amministratori avessero portato la coop – che vantava circa 500 soci da tutte le Marche - in una situazione di dissesto finanziario, «compiendo operazioni dolose». Quali? Per esempio, diceva l’accusa, aumentando l’esposizione debitoria richiedendo e ottenendo finanziamenti da vari istituti di credito per poco più di 3 milioni e 300mila euro. Un milione e 423mila euro sarebbe stato investito per terreni edificabili senza poi realizzare alcuna iniziativa immobiliare. Inoltre, il pm contestava agli ex vertici di aver tenuto scritture contabili in modo «da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari», effettuando anche pagamenti tra il 2017 e il 2014 alla Habita per quasi 3 milioni di euro, «con danno agli altri creditori». 

Le difese, rappresentate dagli avvocati Vittoria Sassi, Riccardo Leonardi e Sergio Marini, hanno ribattuto punto su punto alle contestazioni della procura, sottolineando soprattutto come non ci fosssero prove delle condotte dolose che, stando al pm, avrebbero portato all’insolvenza della coop. Probabile il ricorso in appello una volta uscite le motivazioni del verdetto. Laddove doveva sorgere l’appartamento di Gambelli ci sono ancora solo cemento e spunzoni di ferro. Sull’esito della sentenza ha detto: «Si tratta di una dignità restituita, ma non tanto per il discorso economico, anche se in effetti il danno c’è stato». Il legale Andrea Marini: «Le condanne in sé parlano chiaro: è stata riconosciuta una mala gestio illecita e perdurante della cooperativa». 

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