ANCONA - Spazi logori, incubatori di degrado. La decadenza dell’ex Lancisi iniziò nel 2003, quando il Cardiologico lasciò via Baccarani per espandersi a Torrette. Da allora il nulla. Diciannove anni di abbandono che hanno generato il crollo del valore dell’immobile di Borgo Rodi. L’azienda Ospedali Riuniti, che ne è proprietaria, sperava fruttasse oltre 5 milioni. Un’illusione: l’ultima stima dell’Agenzia del Territorio, nel 2019, stabilì che meritava appena 2,7 milioni. Lo scorso settembre si sarebbe dovuta indire l’asta pubblica per tentare di venderlo. «Dobbiamo farlo per forza - è categorico il direttore generale Michele Caporossi - non c’è nessuna possibilità d’investire da parte nostra. Questo patrimonio rappresenta solo un costo».
Niente di fatto. «Non s’è mossa una paglia.
Arriva al nodo. «Su quella struttura pesa la destinazione urbanistica, che potrebbe essere oggetto di una riclassificazione». Quell’edificio fatiscente è riservato solo all’edilizia sanitaria. Il direttore offre uno spunto per andare oltre i diciannove anni d’immobilismo: «Auspico una sinergia a iniziativa dell’azienda, che è proprietaria, con il Comune, che fissa le procedure urbanistiche, e la Regione, che stabilisce quelle sanitarie. Il procedere in squadra potrebbe restituire valore a quell’ex ospedale».
I precedentiNell’attesa, ai residenti di Borgo Rodi non resta che convivere col fantasma del vecchio presidio, un tempo fiore all’occhiello per l’intera regione. Ogni giorno, gli abitanti delle zona sono costretti ad affacciarsi su quell’imponente orrore assediato da animali randagi, topi, piccioni, invaso dagli escrementi e dall’immondizia. I ladri hanno rubato tutto. «Anni fa - rammenta Caporossi - è stata la volta dei cavi di rame. Non è rimasto nulla». Ogni tanto qualche sbandato sfonda le vetrate per ricavarsi un riparo nei vecchi ambulatori. Nel piazzale esterno le erbacce invadono ogni angolo di quell’antica gloria. L’Agenzia del Territorio a conclusione delle 57 pagine di perizia l’ha scritto chiaro: il valore dell’immobile s’è dimezzato per il suo «stato di degrado avanzato».
Poi è arrivato il Covid che ha stoppato ogni progetto, qualsiasi velleità. «Dobbiamo vendere, per forza - ribadisce il dg - Non c’è nessuna possibilità di investire, anche se in passato avevamo ipotizzato di realizzare un poliambulatorio per la città gestito da noi. Ma nessuno ha recepito la nostra proposta». Un’idea che avrebbe potuto contribuire al governo delle liste di attesa. Sfumata anche questa. Nell’ottobre del 2018 l’immobile fu iscritto nell’elenco dei beni ritenuti validi per un’acquisizione da parte della Cassa Depositi e Prestiti, nell’ambito di una possibile cessione al Mef, il ministero dell’Economia e delle Finanze, ma pure quel tentativo è stato vano. «Dobbiamo vendere perché è un danno per l’azienda e per il quartiere». È il mantra di Caporossi.
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