Zucchero: «Ero depresso, il mio ranch mi ha salvato. Il nome d'arte? Me lo affibiò la maestra»

Il cantautore presenta a Roma il docufilm sulla sua vita. «Sono uscito dal mio periodo buio grazie a un’isola felice e a Pavarotti»

Zucchero: «Ero depresso, il mio ranch mi ha salvato. Il nome d'arte? Me lo affibiò la maestra»
Zucchero: «Ero depresso, il mio ranch mi ha salvato. Il nome d'arte? Me lo affibiò la maestra»
di Mattia Marzi
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Sabato 21 Ottobre 2023, 22:11 - Ultimo aggiornamento: 22 Ottobre, 11:52

Bono, Sting, Brian May, Paul Young, Randy Jackson, Eric Clapton: sono solo alcuni degli artisti che compongono il parterre degli intervistati, che intervengono con ricordi e aneddoti. Potrebbe essere il cast di un documentario su una rockstar dal successo mondiale. Del resto stiamo parlando del più internazionale degli artisti italiani degli ultimi cinquant’anni, Zucchero Fornaciari.

A 68 anni il bluesman emiliano si racconta come mai aveva fatto prima d’ora, in un docufilm intitolato semplicemente Zucchero - Sugar Fornaciari, diretto da Valentina Zanella e Giangiacomo De Stefano: dall’infanzia nella provincia emiliana «alla Don Camillo e Peppone» («C’era solo la cooperativa del Pci e la chiesa e io sono cresciuto andando a suonare i Procol Harum all’organo: era l’unico modo per imparare a suonare uno strumento senza pagarlo», dice) alle tournée mondiali, passando per gli esordi, il successo di Donne, la svolta blues del 1986 con Rispetto, l’amicizia con Luciano Pavarotti e le star internazionali, la depressione.

Presentato ieri alla Festa del Cinema di Roma, il film sarà in sala da domani a mercoledì.


Francesco De Gregori dice che nella sua voce c’è della tribolazione: da dove nasce?
«Dal dolore che provai ad essere sradicato dalla mia terra, l’Emilia, quando avevo 11 anni e i miei si trasferirono in Versilia. Mi portarono via dalla mia adorata nonna, Diamante, quella della canzone scritta proprio con Francesco. I miei lavoravano nei campi o al caseificio di famiglia. Io passavo le giornate con lei. Fu atroce. Forse è per questo che sono stato attratto sempre dal blues, la musica della malinconia. Nel mio caso, si è trasformata anche in depressione».


Quando è successo?
«Nel 1990. La causa fu il fallimento del mio matrimonio (il primo, quello con l’ex moglie Angela Figliè, madre delle sue due figlie, Irene e Alice, ndr). Furono cinque anni durissimi. Ero talmente depresso che solo l’idea di stare bene mi spaventava. Mi succedevano cose incredibili, professionalmente, ma non me le vivevo bene. Brian May, dopo essersi innamorato dell’album Oro, incenso & birra, mi telefonò per partecipare al tributo a Freddie Mercury a Wembley, nel ’92: quando arrivò il momento di salire sul palco, un attacco di panico mi bloccò e mi chiusi in camerino. Fu un bigliettino delle mie figlie a darmi la forza: “Papà, vai sul palco”».


Come ne uscì?
«Con gli antidepressivi. E costruendo il mio ranch di Pontremoli, Lunisiana Soul. Un’oasi felice. Fu in quel periodo che scrissi Miserere. Pavarotti fu un faro da seguire».


Cosa vi legava?
«L’attaccamento viscerale alle radici. Si esibiva nei più importanti teatri del mondo e si faceva portare borse piene di salami e parmigiani. Io da ragazzino a Forte dei Marmi andavo a scuola con un barattolo con la terra del mio paese da annusare quando saliva la nostalgia».


L’ha imbarazzata rivedere i vecchi filmati degli esordi a Castrocaro e Sanremo?
«Abbastanza. Mi sentivo un pesce fuor d’acqua: mi chiamavo Zucchero, cantavo canzoni smielate. Peggio di quella roba non potevo fare (ride). Donne era la mia ultima spiaggia. Dalla casa discografica mi avevano già firmato la liberatoria per la risoluzione del contratto. Arrivai ultimo a Sanremo e pensai: “È finito tutto”. Invece fu la hit di quell’edizione, grazie alle radio».


Ha fatto pace con il nome d’arte, che recentemente ha detto di voler cambiare?
«No. Questo nomignolo me lo affibbiò una maestra alle elementari: ero dolce come lo zucchero, diceva. A 68 anni non mi si addice. Però che posso farci? Ormai è un brand».


Il contratto discografico gliel’hanno rinnovato, alla fine, o è ancora senza?
«Sono in attesa. L’industria è cambiata, i dischi non si vendono. Pazienza, mi dedico ai live».


La prossima estate si esibirà negli stadi di Bologna (27/6), Messina (30/6) e Milano (4/7). Non aveva detto che avrebbe fatto solo concerti nelle arene?
«Sì, ma poi il mio promoter mi ha fatto cambiare idea. Mi ha detto: “Adesso o mai più”. Vediamo come va».
 

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