Ancona, il proteiforme Arturo Brachetti sarà Emcee nel musical in scena alle Muse da venerdì: «Cabaret, era mio destino»

Arturo Brachetti e Diana Del Bufalo
Arturo Brachetti e Diana Del Bufalo
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Mercoledì 13 Dicembre 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 13:49

Chi altri, se non il proteiforme Arturo Brachetti, avrebbe potuto interpretare a teatro il ruolo di Emcee, il presentatore irriverente di “Cabaret”? Il pubblico marchigiano ne avrà la prova alle Muse di Ancona, dove lo spettacolo va in scena in esclusiva regionale, venerdì 15, sabato 16 (ore 20,45) e domenica 17 dicembre (ore 16,30), per la stagione di Marche Teatro.

Una parte che pare scritta per lei, Arturo Brachetti?

«Era scritto nel mio destino. Ho avuto la fortuna di conoscere Joel Gray, l'interprete nel film di Bob Fosse, e di condividere con lui il camerino a Parigi, negli studi di un programma televisivo. Gli ho detto che, a vent'anni, mi divertivo a recitare le sue battute in playback. Poi, nell'83, ho incontrato il regista, che mi ha fatto lusinghieri apprezzamenti. Non basta: tra l'80 e il '90 ho vissuto a Berlino, ho lavorato nei cabaret di quella capitale, che aveva ritrovato l'energia, la vitalità degli anni Venti. Così, quando il produttore Fabrizio Di Fiore me l'ha proposto, gli ho snocciolato una decina di idee di allestimento. Assieme a Luciano Cannito, ne ho fatto traduzione, adattamento e regia, portando in dote le mie esperienze berlinesi».

Cosa deve aspettarsi il pubblico, innamorato del “Cabaret” cinematografico?

«Uno spettacolo veloce, suggestivo, con un inizio diverso, sorprendente, e un finale addirittura scioccante. Mi piace osare, in questo che è stato il primo musical impegnato, e autobiografico, con personaggi realmente esistiti, tratto dai racconti berlinesi di Christopher Isherwood».

Un duro cimento?

«Mi sono documentato moltissimo, su quel periodo, durante la Repubblica di Weimar, in cui la gioventù di Berlino toccò vette di libertà e apertura, di tolleranza, che avrebbe ritrovato solo cinquant'anni dopo. Sulla scorta di Freud, già allora un istituto studiava la sessualità; Fritz Lang dirigeva “Metropolis"; usciva nelle sale “L'angelo azzurro” di Josef von Sternberg.

Ho cercato di ricostruire quel clima, di quando ancora si poteva fare la parodia di Hitler. Il divertimento sfrenato e la tragedia imminente convivono in una scenografia pirotecnica, con la musica dal vivo».

Tutti si aspettano anche i numeri di trasformismo in cui eccelle.

«Non potevano mancare. Cambi di personalità in un secondo, e un tourbillon si trasformazioni in scena. E poi canto».

Una novità?

«Nel '94 avevo rifiutato la proposta di fare “Cabaret” con Saverio Marconi, perché credevo di non saper cantare. Poi, nell'ultimo anno, ho studiato e mi sono scoperto una voce da baritono niente male. D'altra parte, duettare con Diana Del Bufalo è di per sé una bella sfida».

Lo stesso vale per la sua partner, nei numeri al locale Kit-Kat?

«Altroché, ma per lei la sfida è il confronto con Liza Minelli, col suo fantasma, ancora vivo nella memoria di tanti spettatori. Ebbene, è così brava, che ce la fa dimenticare. Interpreta con assoluta verosimiglianza Sally, una ragazzina di 19 anni, frivola, iperattiva, seduttiva. E molto attuale: tante risate sull'orlo del baratro».

Come reagisce il pubblico?

«Resta stupefatto. C'è chi mi ha detto che questo spettacolo rappresenta un otto volante emotivo».

E cosa rappresenta nella tua carriera, un punto di arrivo?

«Macché. Per sentirmi vivo, ho sempre bisogno di avere davanti una nuova “carota”, di darmi altri traguardi. A chi mi chiede qual è stato il mio momento migliore, rispondo: sarà domani».

Lucilla Niccolini

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