Falaguasta con “Non ci facciamo riconoscere” a Pedaso: «Distinguere i buoni dai cattivi, che ridere»

Falaguasta con “Non ci facciamo riconoscere” a Pedaso: «Distinguere i buoni dai cattivi, che ridere»
Falaguasta con “Non ci facciamo riconoscere” a Pedaso: «Distinguere i buoni dai cattivi, che ridere»
di Chiara Morini
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Sabato 15 Aprile 2023, 03:00 - Ultimo aggiornamento: 11:51

PEDASO - La sua è una comicità elegante che coinvolge il pubblico: Marco Falaguasta, attore, commediografo e regista romano, salirà sul palco del cine-teatro Valdaso di Pedaso alle 21 di domani, 16 aprile, con “Non ci facciamo riconoscere”, spettacolo voluto da Comune e Mia Eventi live. 

 
Falaguasta, perché il titolo “Non ci facciamo riconoscere”? 
«È una frase che risuona nelle mie orecchie, la classica frase che i genitori della nostra generazione ci dicevano quando da bambini facevamo i capricci. Nella nostra generazione siamo stati bravi a crescere nell’illusione che tutto era bello, negli anni ‘80 pensavamo che saremmo stati meglio in futuro, ma allora non ci sono state le rivendicazioni che avevano tentato i miei genitori o nonni. Noi invece non ci siamo caratterizzati, abbiamo fatto il “compitino”. E oggi c’è il paradosso che giudichiamo e siamo censori dei nostri figli, facendo le stesse cose dei nostri genitori». 

Cosa affronta?
«Faccio satira, e quindi rideremo di noi, di certi comportamenti. Parto dal sequestro Moro, che ho vissuto quando avevo 8 anni, e ho capito che non si distinguevano buoni e cattivi».
Oggi c’è un “iper” riconoscimento: forse si stava meglio quando si stava peggio? 
«Non voglio dire questo, ma di certo i nostri figli vivono in una dimensione pubblica.

Noi avevamo il nostro diario segreto, con il lucchetto, per limitare fortemente il nostro privato. Oggi i ragazzi pubblicano tutto sui social». 

I requisiti del buon comico? 
«Innanzitutto si deve avere l’urgenza di raccontare qualcosa. Poi si deve essere obiettivi. Io che faccio satira racconto delle storie. E poi leggo e osservo, a me non piace la comicità che nasce dalle sole battute». 

Sull’apparire: comicità e social sì o no?
«Non si può essere impermeabili alle nuove forme di comunicazione come i social. Ma non mi piace che questi abbiano sdoganato il principio “dell’uno vale uno”, cioè che tutti possono fare tutto, ci vogliono le specializzazioni. Questo per dire che in tutto deve tornare al centro la competenza: perché se io smetto di pretendere la qualità, poi nemmeno riesco più a darla». 

Dalla laurea in legge alla recitazione: come ci è arrivato?
«Ho iniziato a 15 anni nei villaggi vacanze, mi piacevano le dinamiche dei racconti e quelle con il pubblico, quindi l’accademia di Beatrice Bracco, poi teatro, fiction e finalmente sono arrivato alla satira».

Dopo essere stato avvocato com’è stato intepretarne il ruolo?
«Ero l’avvocato Manzi in Orgoglio, è stato bello, anche se preferisco ruoli più distanti da me, per esplorare dimensioni nuove. Devo dire che ho fatto poco l’avvocato, ho preso la laurea in legge perché la mia famiglia mi aveva consigliato di avere un piano B nel caso la mia carriera non fosse andata bene. Anche fare l’avvocato non era male: comunica e a me piace comunicare». 

Falaguasta e le Marche? 
«Ho il sangue un po’ marchigiano: i miei nonni erano di Sant’Angelo in Vado e Ascoli Piceno. Ho passato tante estati a Senigallia dov’erano i miei nonni, ma anche in seguito con i miei figli. Eccetto la fiction “Rimbocchiamoci le maniche” non ho mai lavorato nelle Marche prima d’ora».

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