Bruno de Simone sarà protagonista a Macerata per l’omaggio al basso-baritono marchigiano Bruscantini

Bruno de Simone sarà protagonista a Macerata per l’omaggio al basso-baritono marchigiano Bruscantini: «Cantante tra i più grandi, fu un maestro unico»
Bruno de Simone sarà protagonista a Macerata per l’omaggio al basso-baritono marchigiano Bruscantini: «Cantante tra i più grandi, fu un maestro unico»
di Lucilla Niccolini
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Domenica 13 Agosto 2023, 07:40

MACERATA - Non poteva che essere Bruno de Simone, baritono di fama internazionale, il protagonista dell’omaggio che Wunderkammer Estate 2023 dedica a Sesto Bruscantini, nel ventesimo anniversario della scomparsa. A Macerata, mercoledì prossimo, terrà un concerto lirico al Lauro Rossi, al termine di un incontro agli Antichi Forni, dedicato al grande basso-baritono marchigiano.


Che ricordi rievocherà, Bruno de Simone, del magistero di Bruscantini?
«Ventuno anni di frequentazione, didattica e umana, con uno dei più grandi cantanti di tutti i tempi: impossibile darne conto in poco. Più facile evocarne la sensibilità e la generosità. E partire dall’inizio. Non credo nel destino, ma ho dovuto ricredermi in quel 1980, quando lui mi notò a Spoleto, vincitore del concorso annuale. Mi aveva già conquistato per la pertinenza stilistica, ottenuta con dedizione maniacale; per quel suo “il bel modo di dir”, che è poi la sostanza del belcanto, e la sua capacità di trovare i colori adatti a ogni personaggio. Ho realizzato un sogno, quando mi ha preso come allievo».

 
Esperienza indimenticabile?
«Dei 74 ruoli da me interpretati, 38 li ho studiati con lui, un maestro assoluto, capace addirittura, lui marchigiano, di produrre inflessioni del napoletano barocco, difficili per me, che sono di Posillipo. Un pozzo di sapienza artistica. Nel 2001, quando ormai stentava a parlare, dopo avermi preparato al ruolo di Gianni Schicchi, si raccomandò di non dimenticare mai di trasferire ai giovani quello che avevo imparato. “Perché ne avranno bisogno”, aggiunse. Lo faccio, da vent’anni, per non interrompere una grandissima scuola e onorare la sua eredità morale. E sono orgoglioso di cantare, a Macerata, con tre giovani cantanti, che ho seguito al Maggio Musicale Fiorentino. Sono il mezzosoprano Aleksandra Meteleva, il soprano Marilena Ruta e il tenore Federico Vita».
Che emozione tornare a Macerata, dove ha cantato più volte allo Sferisterio?
«E al Lauro Rossi. Ma, prima ancora, fu qui che vinsi il concorso Beniamino Gigli, lo stesso anno di Spoleto. Mi fece un certo effetto: avevo conosciuto Macerata a 12 anni, accompagnando mio padre, che prendeva l’ennesima specializzazione, in Medicina legale, con il prof Mario Graev».
Aveva già scoperto, allora, la sua predisposizione?
«Non ancora, ma già ascoltavo un disco del “Rigoletto” di mio fratello maggiore. Dopo, in camera, ripetevo ad alta voce ogni aria a memoria. Poi, a 16 anni, ho cominciato a studiare con una bravissima maestra. Quando vinsi il concorso di Spoleto, dichiarò che non aveva più niente da insegnarmi e da allora Bruscantini è stato il mio mentore».
Lui marchigiano, lei napoletano. Due diverse visioni della vita?
«Neanche un po’. Ci univa la caratteristica tipica del partenopeo doc: la discrezione. Si figuri che, con Vittorio Gui, tra i precursori della Rossini Renaissance, suo grande amico, comunicava per iscritto, per quel suo naturale ritegno. Mi ha insegnato anche questo, il rispetto dei ruoli. Ed era autocritico: diceva di avere “imparato a cantare” a 40 anni! Modi di un tempo, che cerco a mia volta di trasmettere».
È quello che fa all’Atelier Belcanto, la masterclass promossa dalla Wunderkammer Orchestra?
«A settembre a Villa Giulia, con Alessandra Rossi, a Pesaro, cui sono legato da magnifici ricordi del Rossini Opera Festival.

Nel 2002 mi invitò Alberto Zedda, dopo avermi ascoltato, in Spagna, in un “Viaggio a Reims”. Fu una grande emozione: al Rof, nel 1982, mi ero emozionato ad ascoltare le prove del maestro Bruscantini nell’“Italiana in Algeri”, accanto a Samuel Ramey. E qui, dove mi hanno attribuito, nel 2007, il Rossini d’oro, continuo a trasmettere ai giovani il concetto che la bravura non è una variante secondaria. Altrimenti rischiamo di affidare l’opera lirica all’archeologia».

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