L'Aida tra dune di sabbia e petrolio con una splendida interpretazione del soprano Maria Teresa Leva

Il soprano Maria Teresa Leva in una scena dell’Aida allo Sferisterio di Macerata
Il soprano Maria Teresa Leva in una scena dell’Aida allo Sferisterio di Macerata
di Fabio Brisighelli
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Domenica 25 Luglio 2021, 04:35

MACERATA - La messinscena di “Aida”, l’opera verdiana che l’altra sera allo Sferisterio ha aperto la stagione lirica in corso (repliche l’1, il 7 e il 12 di agosto), con il suo riferimento centenario all’ormai mitico allestimento nella stessa arena del 1921, giusto cento anni fa, è forse l’elemento più interessante di questa attesa realizzazione teatrale. 

 
L’impronta della Carrasco
Si vede dall’impronta tracciata che la regista argentina Valentina Carrasco, con la sua originale e per molti aspetti anche stimolante lettura dell’esotica vicenda in quel dell’Egitto, ha lavorato all’interno del gruppo degli allestitori della Fura dels Baus, fautori di corredi scenici fuori dell’ordinario. Va subito precisato che l’ambientazione della storia non corrisponde all’Egitto lontano della tradizione, legata ai colori orientali e ai profumi inebrianti di una tradizionale collocazione al tempo dei faraoni; qui il decorso narrativo è per così dire coevo al periodo in cui avvenne la celebre “prima” dell’opera al Cairo, nel 1871, per volontà del sovrano egiziano Ismail Pascià (che voleva solennemente celebrare il taglio dell’Istmo di Suez): i protagonisti vestono per lo più gli abiti di questo tempo, e sullo sfondo bellico tra egiziani ed etiopi, in cui si consuma la trama di amore e di morte di Aida e del suo Radamès, echeggiano i motivi dello sfruttamento coloniale, legato in primis al petrolio.


Il colpo di teatro
Allora si può capire come la Carrasco, dall’iniziale semplicità evocativa “orizzontale” delle dune di sabbia disseminate a mo’ di deserto sul lungo palco areniano, trascorra con un efficace colpo di teatro, non a caso a partire dalla scena del trionfo, alla “verticalità” dei simboli della vittoria rappresentata da pezzi metallici smembrati e multidirezionali di oleodotti, anche a bocche di fiamma, che sfilano come altrettanti trofei, mentre sul palco si srotolano barili di petrolio. La guerra ancestrale insomma è diventata guerra di materie prime, con tutto ciò che ne consegue in termini di sfruttamento dei vinti che soccombono alle ragioni dei vincitori. Particolare significativo, la “fatal pietra” che alla fine racchiude in una morte atroce i due amanti è una bocca di ferro che diffonde liquido nero. Sotto il profilo strumentale, ci è sembrata nell’insieme incisiva la prova offerta dal maestro Francesco Lanzillotta alla guida dell’Orchestra Filarmonica Marchigiana, con il rilievo dell’efficace unisono strumentale determinatosi con la Banda Salvadei al momento del trionfo. 
La compagnia di canto
Nella compagnia di canto il personaggio vocalmente più a fuoco ci è parso proprio quello di Aida, impersonato da Maria Teresa Leva; gli altri interpreti principali, Luciano Ganci (Radamès), Veronica Simeoni (Amneris), Marco Caria (Amonasro), Alessio Cacciamani (Ramfis) e Fabrizio Beggi (il Re), hanno svolto le loro parti con apprezzabile impegno.

Positiva come sempre la prova del Coro lirico marchigiano “Vincenzo Bellini”.

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