«Deep Purple, immortali». Ian Paice, storico batterista del gruppo, in concerto a Castelfidardo il 23 febbraio

«Quando suono mi diverto come quando avevo 15 anni anche se ora è tutto molto più serio»

Ian Paice
Ian Paice
di Saverio Spadavecchia
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Giovedì 15 Febbraio 2024, 05:40 - Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 07:49

Torna nelle Marche uno dei più grandi batteristi rock di tutti i tempi. Il 23 febbraio alle 21.30, al teatro Astra di Castelfidardo, si esibirà Ian Paice, storico batterista dei Deep Purple. Classe 1948, Paice ha vissuto sin dal primo giorno l’avventura hard rock dei Deep Purple, registrando decide di dischi e diventando una della icone della musica. Accompagnato dagli In Rock (formata da Franco Sgattoni alla voce, Fabrizio Sgattoni alla chitarra, Andrea Ricci al basso e Giacomo Cagnetti alle tastiere), Paice suonerà i classici della band inglese. Prima di lui si esibirà la band dorica The Steel Bones che presenterà un repertorio di proprie composizioni.

Una vita passata con i Deep Purple e ancora oggi la voglia di continuare a diffondere la storia di una della band più importanti del rock: quanta passione c’è ancora in Ian Paice?

«Quando ho iniziato a suonare la batteria a 15 anni l’ho fatto perché mi rendeva felice, mi dava piacere e anche oggi a 60 anni da quei giorni provo le stesse sensazioni e lo stesso piacere.

Certo le cose sono cambiate da quando ero ragazzino, da quando la batteria era per me solo un gioco. È diventato nel corso degli anni tutto molto più serio, ma anche oggi quando mi siedo dietro alla batteria continuo a divertimi».

Non è la prima volta che suona con band cover dei Deep Purple, cosa vede nella passione dei tanti musicisti che hanno scelto di interpretare la vostra musica?

«Quando penso alla musica, a delle cose fatte magari anche tanti anni fa, credo sia davvero gratificante trovare qualcuno che, come te, la ritiene importante. E poi ritengo che suonare con musicisti più giovani di me, che si divertono quanto mi diverto io, sia davvero impagabile. C’è chi le interpreta ma c’è anche chi le esegue in maniera identica ma alla base di tutto ci sono passione e divertimento».

Qual è la canzone più bizzarra del repertorio Deep Purple che le è capitato di suonare durante i concerti con i gruppi cover?

«Penso che possa essere una canzone dal nostro album del 1971 “Fireball” intitolata “Anyone’s daughter”, è una canzone che prevede l’utilizzo del tamburello e della sola grancassa della batteria e credo sia questa quella che possiamo considerare la più strana da portare sul palco».

Ai vostri concerti c’è sempre una grande varietà di pubblico, almeno tre generazioni diverse che ogni volta vengono ad ascoltare quanto avete fatto nel corso degli anni: se lo sarebbe mai immaginato quando nel 1968 registrò “Shades of Deep Purple”?

«Quello che ho fatto, quello che abbiamo fatto, con i Deep Purple è incredibile. Non penso che qualcuno di noi, mentre si trovava all’interno di uno studio di registrazione anni fa pensasse ad una sorta di immortalità artistica perché se guardiamo agli artisti di oggi non credo ci sia qualcuno che possa pensare ad una prospettiva di immortalità di questo tipo. Ma è quello che è successo, perché abbiamo avuto la fortuna di registrare canzoni che hanno avuto successo, e questa è quella che possiamo considerare immortalità».

Come suonano le vostre canzoni oggi?

«Ritornando indietro al 1968, a quei giorni quando abbiamo registrato il nostro primo disco, ricordo che ce ne sono voluti due per registrare quelle canzoni e alle fine sono ancora lì, oggi, dopo tanto tempo insieme a tutte le altre. Se le sento oggi suonano ancora bene, e questa è davvero una bella sensazione».

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