Reporter testimoni di guerra, al Cinema Azzurro “In prima linea”, regia di Matteo Balsamo e Francesco Grosso

Un'immagine di "In prima linea"
Un'immagine di "In prima linea"
di Giovanni Guidi Buffarini
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Lunedì 28 Marzo 2022, 09:05

ANCONA - Terzo e ultimo appuntamento oggi, al Cinema Azzurro di Ancona, con la rassegna “Maestri della fotografia - Il cinema racconta”, a cura della associazione Il Mascherone. Alle 21 - ingresso 5 euro - sarà proiettato il film “In prima linea”, regia di Matteo Balsamo e Francesco Grosso. Davanti alla cinepresa, tredici fotografi raccontano le loro esperienze nei teatri di guerra. Da programma, avrebbe dovuto presenziare alla serata uno dei tredici, Pietro Masturzo. Non ci sarà: l’agenda di un fotografo di guerra è la guerra a dettarla. Saluterà il pubblico con un video realizzato per l’occasione.  Masturzo è un nome di spicco della fotografia mondiale, vincitore nel 2010 del prestigioso “World Press Photo”, i suoi lavori esposti in mostre collettive e personali. La prossima estate, nell’ambito della quinta edizione dell’Ancona Foto Festival, ci sarà una sua personale: “Israeli Settlements”. L’abbiamo raggiunto al telefono una decina di giorni fa, alla vigilia della partenza per l’Ucraina. 

 
Dove è diretto di preciso?
«Il mio obiettivo è raggiungere Odessa. È un luogo importante per me, un luogo del cuore. Mia nonna era originaria di Odessa, sono stato diverse volte, ho qualche contatto in città, sto aspettando il momento migliore per andare».


Quale percorso intende seguire?
«La prima tappa è la Romania, poi la Moldavia. Da lì proverò a entrare in Ucraina».


Ha preso contatti professionali?
«Con qualche testata americana, ma non sono contatti stretti.

Per esser chiari, non vado lì per conto di qualcuno. Come sempre, d’altro canto. Scatto le foto, cerco di venderle. I giornali non si prendono più la responsabilità di mandare un freelance in un teatro di guerra. Anche solo per una questione di convenienza economica, l’assicurazione costa. Diciamola tutta. Nessuno sente la mancanza di un fotografo. Magari ti comprano qualche scatto (pagando poco, eh), ti fanno i complimenti, ma il nostro lavoro è considerato un qualcosa a cui si può rinunciare».


E tuttavia lei continua a farlo, a infilarsi in posti niente tranquilli.
«Mi spinge la passione e anche, inutile negarlo, una certa dose di egomania».


Che rapporto si instaura tra voi fotografi di guerra?
«Un rapporto a due facce. Da un lato c’è grande solidarietà, cementata dalle circostanze, dal trovarci tutti in una situazione pericolosa. Dall’altro lato c’è una forte competizione, ognuno di noi vuole essere l’unico ad avere quello scatto. Se trovi una storia, quell’informazione non la condividi. Una cosa voglia precisare, l’ho detto anche a quelli che mi hanno coinvolto nel film. Non mi riconosco nella definizione di fotografo di prima linea. Mi capita di trovarmi in prima linea, d’accordo, però preferisco cercare prospettive diverse. Raccontare non tanto la guerra quanto la vita delle persone comuni in tempo di guerra. Empatizzando con loro, cosa sconsigliata a chi svolge la mia professione. Bisogna rimanere freddi, ripetono tutti o quasi. Non sono d’accordo».


Alla paura ci si abitua?
«Alla paura spero di non abituarmi mai. La paura è ciò che ti salva la pelle».


Nuovo contatto con Masturzo dopo una settimana, via whatsapp. È arrivato a Odessa?
«Non ancora. Sono in un minuscolo villaggio al confine Moldavia-Ucraina. Ho trovato una storia».

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