Lo storico dell'arte Goldin alle Muse di Ancona: «Faccio rivivere Van Gogh, tre maxi schermi proiettano i luoghi dell'artista ripresi con i droni»

Lo storico dell'arte Goldin alle Muse di Ancona: «Faccio rivivere Van Gogh, tre maxi schermi proiettano i luoghi dell'artista ripresi con i droni»
Lo storico dell'arte Goldin alle Muse di Ancona: «Faccio rivivere Van Gogh, tre maxi schermi proiettano i luoghi dell'artista ripresi con i droni»
di Lucilla Niccolini
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Martedì 8 Novembre 2022, 04:20

ANCONA - Una visita inaspettata e molto gradita, quella di Van Gogh ad Ancona. Uno dei più grandi pittori moderni del colore rivivrà al teatro delle Muse, il 15 novembre alle 21, nelle parole di Marco Goldin. Lo storico dell’arte trevisano andrà in scena con lo spettacolo “Gli ultimi giorni di Van Gogh. Il diario ritrovato”, da lui scritto, diretto e interpretato.

 
Il titolo è lo stesso del libro pubblicato dalla casa editrice Solferino. Che rapporto, Goldin, tra le due opere?
«Sono legate tra loro. Il progetto risale al 2017, quando cominciai a scrivere il romanzo, in forma di diario, sulle ultime settimane vissute da Van Gogh, tra il 20 maggio e il 29 luglio 1890, a Auvers-sur-Oise. Poi, sono stato coinvolto in altri lavori, tra cui una biografia dell’artista. Un anno fa, l’ho ripreso in mano, e mi sono buttato a scrivere entrambi i testi».


Lei ha già realizzato iniziative, con cui porta l’arte a teatro, come lo spettacolo dedicato alla “Ragazza con l’orecchino di perla” di Vermeer. Per raccontare un artista, la scena è un canale efficace?
«Da circa vent’anni uso questa modalità per promuovere e comunicare le mie mostre, suscitando ogni volta un profondo interesse nel pubblico. Tre grandi schermi proiettano non solo le opere di cui parlo, da solo sul palcoscenico, ma anche i luoghi da cui l’artista ha tratto ispirazione: immagini meravigliose, riprese anche con i droni, in Olanda, Belgio e Francia, da Luca Attilii e Fabio Massimo Iaquone. E poi, c’è la musica: non potevo che scegliere i brani di Franco Battiato, con cui ho collaborato in passato, come me innamorato di Van Gogh. La sua musica sembra evocare il vento che piega le spighe di grano, il canto degli uccelli».
Nel suo racconto, delle ultime settimane di Van Gogh, quanta realtà, e quanta poesia?
«Il linguaggio è mio, e il diario ritrovato è un espediente narrativo.

Ma i fatti sono veri, documentati dalle sue lettere e dal racconto dei contemporanei».


Perché proprio il periodo estremo della sua vita?
«Perché è stato quello in cui si è rarefatto il carteggio con il fratello Théo, ma s’intensifica la produzione pittorica: 77 quadri in 70 giorni e moltissimi disegni, per un totale di oltre cento opere. Poiché di molte neanche parla nelle sue lettere, mi sono permesso di ricostruire piccole storie attorno a esse. Vi ha riversato, per dipingere la campagna a nord di Parigi, i colori di cui si era riempito gli occhi nel precedente soggiorno in Provenza. E poi, perché è il periodo meno considerato dagli storici dell’arte, che fino a poco tempo fa ritenevano che il dipinto del campo di grano con i corvi neri fosse il suo ultimo. Piuttosto, fu proprio in uno di quei campi biondi che volle ricongiungersi con la natura, immergersi simbolicamente in essa, sparandosi, ai piedi di un covone, il colpo di pistola, che di lì a pochi giorni l’avrebbe condotto alla morte».


Lo spettacolo ha avuto un’anteprima sabato scorso al teatro di Salsomaggiore. Qual è stata la prima reazione del pubblico?
«Hanno ascoltato in religioso silenzio, trasmettendomi un’impressione fortissima di condivisione. E nella parte finale ho colto qualche singhiozzo. E la commozione non è tanto scaturita dalla compassione per la sua fine, quanto dalla bellezza delle immagini, dalla profondità delle sue parole, da me evocate».

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