Pesaro, i due pronto soccorso chiusi a marzo per lo tsunami dell'epidemia

Il pronto soccorso di Pesaro dell'azienda ospedaliera Marche Nord
Il pronto soccorso di Pesaro dell'azienda ospedaliera Marche Nord
di Lorenzo Furlani
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Lunedì 27 Aprile 2020, 16:20 - Ultimo aggiornamento: 28 Aprile, 13:12
PESARO - La Caporetto della sanità pesarese per il Covid-19 si colloca tra il 4 e il 6 marzo, quando dall’azienda Marche Nord partono due lettere drammatiche all’indirizzo del 118 per chiedere, in un crescendo di toni perentori, la sospensione temporanea del trasporto ai pronto soccorso di Pesaro e Fano dei pazienti di tutte le patologie di tipo internistico.

È il momento più critico dell’assistenza sanitaria provinciale, che segna il collasso dell’azienda ospedaliera sotto la pressione di uno sviluppo inatteso e massivo delle infezioni da coronavirus, che evolvono rapidamente in patologie di estrema gravità. Si tratta dello “tsunami” del focolaio pesarese dell’epidemia, descritto dal direttore del dipartimento di emergenza e urgenza Michele Tempesta, che finisce per travolgere con il corollario di contagi ospedalieri anche il Santa Maria della Misericordia di Urbino, la struttura che riceve l’ondata dei malati di Covid-19 proveniente da Pesaro, insieme a Senigallia.

Dopo due giorni la zona rossa
Venerdì 6 marzo - due giorni prima che la provincia di Pesaro Urbino fosse inserita con altri 13 territori provinciali e tutta la Lombardia nella zona 1 con il confinamento in casa dei cittadini salvo i motivi di lavoro, salute e necessità - il direttore sanitario Berselli e la direttrice di presidio Serrao indirizzano una missiva al direttore Bernardi e a tutto il personale della centrale operativa del 118 per reiterare la richiesta già formalizzata il 4 marzo ma disattesa.

Fanno eccezione alla sospensione degli accessi “le patologie tempo dipendenti”, ovvero le urgenze, per le quali i due dirigenti sottolineano che “l’azienda, per la sicurezza e incolumità pubblica, si è resa disponibile, sopra le proprie forze (e con notevole sacrificio del personale, ndr), a prendersi carico di tutti i pazienti”. Anche se nella lettera si spiega che “i posti letto di terapia intensiva risultano saturi (15 contumaciali e 11 ordinari) e soprattutto le tecnologie sanitarie per la ventilazione risultano appena sufficienti per trattare i casi (di Covid-19, ndr) già in sede”.  Quindi si palesa un ostacolo anche per i malati di Covid-19 presi in carico dal 118 in condizioni di urgenza.

Tutti i posti letto di rianimazione occupati
A chiarire le ridotte capacità di cura di Marche Nord, nella lettera si evidenzia che “per l’andamento epidemiologico dell’infezione in corso e la rapida evoluzione clinica per insufficienza respiratoria dei casi gestiti, si è osservata in questi giorni la quotidiana occupazione di tutti i posti letto di rianimazione di volta in volta individuati, oltre alla completa saturazione delle unità operative di malattie infettive, medicina di urgenza, pronto soccorso”.

Il tenore di questa seconda missiva è particolarmente grave: gli operatori del 118 sono richiamati sui “rischi derivanti dal continuare a opporsi alle indicazioni aziendali” e invitati a valutare se per gli utenti sia meno pericoloso “essere centralizzati in una struttura non più in grado di prendersene cura” (il presidio più vicino secondo le direttive della Regione) “ovvero presumere di lasciare in parte sguarnito il territorio”, evidentemente per il trasporto agli ospedali più lontani di Urbino o Senigallia, “(cosa che potrebbe essere supplita con la richiesta di mezzi aggiuntivi sulle Potes interessate)”. I dirigenti Berselli e Serrao rimarcano che l’opposizione alla richiesta può mettere “a grave repentaglio l’incolumità e la sicurezza dei pazienti” e per tali “eventuali eventi avversi” richiamano esplicitamente la responsabilità penale degli operatori del 118.

"Una tragedia per Urbino"
A  fare chiarezza sulla durata di questa sospensione degli accessi ai pronto soccorso di Marche Nord, interviene l’assessore alla sanità di Urbino, che ha monitorato i gravi effetti di questa decisione sull’ospedale ducale Santa Maria della Misericordia. «La chiusura è durata due settimane - afferma Elisabetta Foschi -: durante la prima i pazienti venivano dirottati su Urbino e Senigallia, durante la seconda andavano nell’Anconetano. Ma a Marche Nord non hanno deviato solo i casi non gravi, hanno chiuso. Quella lettera dai toni minacciosi del 6 marzo è gravissima: ha comportato la tragedia presso l’ospedale no Covid di Urbino che si è visto arrivare tutte le sere 20 o 30 pazienti positivi con conseguenti contagi del personale e dei pazienti. Di chi è la responsabilità di tutto questo? Rabbrividisco perché in quegli stessi giorni il sindaco di Pesaro Ricci non voleva che si chiudessero le scuole e invitava il sindaco di Urbino Gambini a ritirare la sua ordinanza, il Governo faceva ricorso al Tar contro il provvedimento regionale di chiusura di scuole e pubbliche manifestazioni e il 27, con l’inizio dello tsunami dentro l’ospedale della sua città, Ricci, annunciava la campagna "No panico, l’Italia riparte" con le famose spillette».

Aumento abnorme dei decessi
Accertare cosa sia accaduto allora, oltre all’eroismo di chi s’è trovato a sopportare la terribile onda d’urto dell’epidemia, serve a evitare che la sottovalutazione e l'impreparazione registrate a vari livelli possano ripetersi. A marzo a Pesaro sono morte 310 persone, con un aumento abnorme del 260,5%, il quinto più alto incremento tra i capoluoghi di provincia censiti dall’Istat nell'aggiornamento tempestivo dei dati di mortalità, dopo quelli della zona rossa della Lombardia con un'appendice dell'Emilia. Si tratta di 224 decessi di residenti nel Comune di Pesaro in più rispetto alla media del quinquennio precedente, ma il Gores delle Marche ne attribuisce al coronavirus non più di 150: la differenza di quei 74 morti attende di essere spiegata.
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