La regina del Fado Elisa Ridolfi: «Prima volta sul palco, un’altra dimensione»

La regina del Fado Elisa Ridolfi: «Prima volta sul palco, un’altra dimensione»
La regina del Fado Elisa Ridolfi: «Prima volta sul palco, un’altra dimensione»
di Elisabetta Marsigli
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Domenica 25 Febbraio 2024, 04:00 - Ultimo aggiornamento: 15:14

FANO - È una delle voci più belle del nostro territorio e non solo: una voce di straordinaria eleganza che, parafrasando il suo ultimo album “Curami l’anima”, è in grado di toccare le corde più nascoste del nostro sentire. Cantautrice e apprezzata interprete del Fado, Elisa Ridolfi è una fanese nata a Pesaro: «mio babbo lavorava all’ospedale di Pesaro e preferii farmi nascere lì, ma so che ebbero dei problemi a riportarmi a casa: nella 500 dei miei la culla non ci stava», racconta sorridendo.

La sua è stata un’infanzia spensierata e giocosa: «vivevamo nel quartiere Poderino, noi al primo piano e sotto i nonni.

Nonna Gianna ha ora 96 anni, è stata un pilastro della nostra infanzia. Abitavamo in una via dove non passavano quasi mai auto e, tranne i 3 mesi più freddi, io giocavo per strada, insieme ad un folto gruppo di bambini». Elisa viene raccontata come una brava bambina, ma con una bella vitalità. «Andavamo da soli a scuola (io e mio fratello di 4 anni più piccolo) e quando tornavamo mettevo su io l’acqua per la pasta. Venivamo da una tradizione in cui i figli erano subito responsabilizzati. Eravamo la generazione delle “ginocchia sbucciate”, ho ancora le cicatrici, della sperimentazione fisica, liberi di giocare.

La comunità

Oltre al senso della comunità: eravamo figli di tutti, in un quartiere che accoglieva l’infanzia». Elisa ha iniziato ad ascoltare la musica molto presto: «il mio gioco preferito era il mangiadischi portatile, ci cantavo e ballavo sempre. Tra i miei preferiti c’erano sia le canzoni che cantava il pupazzo Rockfeller che la colonna sonora di Jesus Christ Superstar. Sapevo tutto a memoria il musical, un album pieno di mondi musicali, di cui percepivo la ricchezza». Alle elementari iscrissero Elisa al Pinocchietto d’oro, un oratorio musicale che frequentò per quasi 5 anni: «Don Mario Gatti ci veniva a prendere tutti col pulmino e ci portava al Masetti dove c’era il maestro Francolini che ci insegnava le canzoni, tra coro e solismo, in un lavoro di musicalità spontanea». Contemporaneamente, Elisa seguiva le prove della Micio Sband, con cui il babbo aveva iniziato a collaborare: «imparai a conoscere i cantautori grazie a loro e spesso mi facevano cantare: piaceva a loro, ma anche a me». Da adolescente Elisa giocava a pallavolo, ma quando smise iniziò a concentrarsi di più sul canto: «alle superiori (Liceo Classico Nolfi) avevo dei gruppetti con cui facevo musica, soprattutto per il concerto finale dove venivano coinvolte tutte le scuole. È stata un’adolescenza molto impegnativa, ho sempre avuto bisogno di esplorare: andavo bene a scuola e mi piaceva essere libera di divertirmi ed avere una vita sociale». Ma non era nei suoi pensieri una vita da musicista: «Avendo una famiglia dedita alle relazioni di aiuto (babbo psichiatra e mamma assistente sociale), ero partita per fare la psicoterapeuta e frequentai Psicologia a Firenze. Poi in verità, studiandola, ho perso la fede e l’ho trovata nella musica che per me è diventata un elemento di cura e mi sono specializzata a Padova in musico terapia».

Dalla psicologia all’anima

Musica e cura dell’altro, sono sempre state nel Dna di Elisa: «Ho sempre avuto dentro di me l’istinto di stare nel mondo cercando di portare sostegno, permettere l’evoluzione. Pensavo di trovarlo e realizzarlo in un approccio più accademico, legato al mondo della psiche, e invece l’ho spostato in quello dell’anima. Il filo conduttore è comunque sempre lo stesso: non è stato uno strappo, ma un andare ad una ricerca più profonda». Una famiglia che aiuta e stimola l’arte non è da poco: «penso alla figura di mio nonno, Virginio Ridolfi, che era un pittore e realizzava quadri di forte impatto emotivo. L’arte è sempre stata una presenza molto forte nella nostra casa, a cui ho dato sempre molto valore». La sua prima presenza professionale su un palcoscenico avvenne a 19 anni: «Fu un po’ per caso: Marco Poeta, che stava approcciando il Fado in quel periodo, era amico dei miei e capitò di suonare insieme, ad un matrimonio, alcuni brani di Buona Vista Social Club. Così decidemmo di farne un concerto e debuttammo a Mondavio: con me c’era Francesco Di Giacomo del Banco. Fu un’emozione fortissima: arrivata al microfono ho visto tutto nero. È stato l’ingresso in un’altra dimensione e lì ho capito che la musica era davvero una cosa seria e da allora è diventata per me una grande scuola, dove ho imparato sul campo».

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