Otto ore al Pronto soccorso per una sanità che funziona. Due pomeriggi a Torrette nei giorni roventi delle ondate di calore

Otto ore al Pronto soccorso per una sanità che funziona
Otto ore al Pronto soccorso per una sanità che funziona
di Lorenzo Sconocchini
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Venerdì 21 Luglio 2023, 01:30 - Ultimo aggiornamento: 11:51

«Il paziente numero 47 in sala 5». Alla voce che esce metallica dal box dell’accettazione l’uomo con il biglietto fortunato risponde al volo: «Ambo!». C’è chi mantiene lo spirito giusto, dopo ore e ore in sala d’attesa al Pronto soccorso di Torrette, anche se qualche fila di seggiolini più indietro una signora arrivata da Fano per un’ecografia preferisce il sarcasmo all’ironia. «Il mio numero devono averlo perso...».


I codici non urgenti


Benvenuti nel girone dei codici bianchi, verdi e azzurri, quelli non urgenti o con urgenze minori o differibili. Siamo nel lato del Pronto soccorso più affollato, dove i pazienti arrivano sulle proprie gambe o spinti su una carrozzina da familiari o militi di pubbliche assistenze. I codici arancioni (urgenza) e rossi (emergenza) arrivano per lo più in ambulanza e non passano per il triage, il primo frangiflutti investito - in questi giorni da bollino rosso per le ondate di calore - da uno tsunami di accessi, circa il 30% in più della norma. All’Azienda ospedaliero universitaria delle Marche, nei pomeriggi del 18 e 19 luglio, le giornate più calde di una settimana bollente, va in scena la rappresentazione di un’ottima sanità pubblica in un tempo sospeso, dove per essere curati, medicati, esaminati, diagnosticati e refertati servono due doti: pazienza e tempo da vendere.


I tempi


Quanto? Alle ore 16 e 25 di martedì 18 il monitor che aggiorna su presenze e tempistiche segnala che ci sono 63 pazienti (4 in codice rosso) e per i 21 codici verdi il tempo massimo d’attesa stimato è di 5 ore e 46’. Tre ore più tardi il tempo di attesa si avvicina ormai alle 7 ore (6 ore e 52’). Una signora di quasi 80 anni con un vestito a fiori, cartellina verde in mano, che al mattino aveva accusato un mancamento rientrando a casa dalla spesa ed era corsa in auto al pronto soccorso, giura di essere lì da nove ore e promette che si farà sentire dalla direzione sanitaria. Il giorno dopo, alle ore 16 e 03, il maxischermo registra 76 pazienti (7 rossi) e un’attesa massima per i “verdi” di 6 ore e 40’. Gli anziani in sala d’attesa, per lo più con cali di pressione dovuti al caldo, annebbiamento e sensazione di svenire, contati per spanne saranno uno su quattro, trovando così conferma empirica la stima condotta da Simeu, la società dei medici dell’emergenza. Poi c’è l’umanità varia che popola un Pronto soccorso anche in giornate meno roventi.

Il signore che ha dato confidenza al cane di un amico, ricambiato da un morso alla mano e in attesa di medicazione e antitetanica. Il dipendente di una ditta che fa arredi e allestimenti nella nautica, che s’è preso la scossa su uno yacht. Un uomo di mezza età, accompagnato dalla moglie, accusa febbre a 40 e tosse (fortunatamente all’ingresso è ancora richiesta la mascherina) mentre un giovane straniero ha il naso chiuso e non si accontenta di uno spray. 


Cali di pressione


Non pochi arrivano da altri Pronto soccorso (Jesi, Osimo) e dalle inflessioni dialettali captate non mancano pazienti da fuori provincia. Chi li accoglie? Al triage, dove si fa una prima valutazione clinica del paziente assegnando i codici, s’alternano operatori che dimostrano di essere usciti più temprati che sfibrati da tre anni di Covid. Nei due pomeriggi della nostra occasionale osservazione - come accompagnatori di un codice azzurro - mai uno di loro ha perso la pazienza. Neanche spiegando cento volte che il numero assegnato non è quello al bancone di un supermercato, che dà un posto preciso nella fila, ma serve a garantire la privacy e può capitare che un numero più alto - se ha una priorità maggiore - venga chiamato prima. Mai una voce sopra le righe, un tono inappropriato, neanche quando la signora con l’abito a fiori s’avvicina per dire che a suo avviso ci sono «corsie preferenziali». E intanto fronteggiano l’onda dei nuovi accessi, misurano temperature e pressioni, rispondono a richieste assortite («Serve ghiaccio? Eccolo»), conversano in inglese con turisti sfiancati dal solleone, corrono con la barella se qualcuno si aggrava. Nelle due sale d’attesa, c’è solo da avere pazienza, in un ambiente comunque accogliente. Le sale sono climatizzate (anche se alcuni, tra cui la donna con il vestito a fiori, si lamentano per il caldo e agitano ventagli improvvisati) e oltre ai distributori di bevande e snack c’è un erogatore gratuito di acqua. Certo, c’è da aspettare tanto. Ma quando si varca la linea blu, percorrendo i dieci passi dal box triage all’area operativa dove ci sono ambulatori e sale per tac ed ecografie, si sperimenta una sanità che funziona. Nel nostro caso, dopo quattro ore e mezzo di attesa, nel giro di altre tre scarse otteniamo: visita con medico d’urgenza che riconosce al volo l’origine di certi valori ematici sballati, nuovo prelievo del sangue con risultati, ecografica all’addome, visita finale e appuntamento per l’indomani, per un nuovo controllo che dia conferma dell’esito tranquillizzante degli esami. Tutto perfetto, anche se con i tempi di un Pronto soccorso sotto stress. Rimedi? La Regione prova rispolverando le Usca, le Unità di continuità assistenziali impiegate durante il Covid, per favorire l’assistenza domiciliare ed evitare accessi impropri nei Pronto soccorso. La signora con l’abito a fiori, starà già esultando.
 

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