Lo strappo di Calenda e l'ira del Pd nelle Marche: «Fa populismo d’élite»

Lo strappo di Calenda e l'ira del Pd nelle Marche: «Fa populismo d’élite»
Lo strappo di Calenda e l'ira del Pd nelle Marche: «Fa populismo d’élite»
di Martina Marinangeli
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Lunedì 8 Agosto 2022, 05:25

ANCONA Uno strappo consumato ad appena cinque giorni dalla stipula del patto in chiave elettorale e dalla stretta di mano tra gentiluomini. Carlo Calenda, con la sua Azione, ha dato ieri il benservito al Partito democratico di Enrico Letta, optando per una corsa in solitaria verso le Politiche del 25 settembre, dopo che nel perimetro della coalizione sono entrai Verdi, Sinistra Italiana ed Impegno civico.

E ieri sera ha convocato una direzione straordinaria con tutti i coordinatori regionali del partito per ridefinire l’assetto delle candidature ora che l’alleanza è saltata.

Un supplemento di riflessione che toccherà anche al Pd. E se, in un primo momento, i dem marchigiani hanno guardato al bicchiere mezzo pieno, pensando ai due seggi in più che tornano nell’alveo democrat ora che Azione non è più della partita, nel giro di poco la bottiglia di champagne si è trasformata in un amaro calice. 


Il tetris dei collegi
Stando infatti agli svariati studi sulla contendibilità dei collegi marchigiani di fronte all’armata del centrodestra, l’appoggio di Calenda quasi blindava l’uninominale di Ancona alla Camera e dava una bella spinta anche a quello di Pesaro. E pure l’uninominale Marche nord in Senato tornava alla portata del centrosinistra. Ora si rischia molto di più e sarà una guerra all’ultimo voto. Almeno nel nord della regione, dato che il sud è unanimemente considerato feudo del centrodestra. Il bollettino di guerra post elettorale farà la conta dei danni. Nei desiderata avanzati dal coordinamento regionale di Azione c’era il collegio di Ancona, considerato appunto quasi sicuro. Con lo strappo si apre invece un’autostrada per l’ex presidente dell’assemblea legislativa delle Marche e consigliere regionale Antonio Mastrovincenzo, che dopo la giornata di ieri acquista punti nel borsino elettorale. Resta ancora in campo l’incognita Marco Bentivogli che, a questo punto, in caso di candidatura, sarebbe tutta in casa Pd.


Le frizioni
Ma al netto del gioco di incastri dei collegi, ieri sono volati stracci tra gli ormai ex alleati. «Calenda parla di “onore” - la bacchettata del commissario del Pd delle Marche Alberto Losacco - ma onore è rispettare la parola data. L’accordo del 2 agosto con il segretario Enrico Letta. Un accordo, una firma, una stretta di mano tra persone leali e serie: questo è onore. Il resto, compreso l’attacco alla destra e alla sinistra tutte uguali, è populismo. Populismo d’élite, ma pur sempre populismo. Sapeva già tutto e ha firmato comunque. Poi ha cambiato idea e non si capisce perché». Ancora più dura la deputata uscente - e ricandidata in pectore - Alessia Morani, che non usa mezzi termini: «Quelle accampate da Calenda sono motivazioni imbarazzanti. Era perfettamente a conoscenza del patto che il Pd avrebbe stretto con Verdi e Sinistra italiana quando ha siglato l’accordo. Si è dimostrato totalmente inaffidabile ed irresponsabile.

Di tutt’altro avviso, logicamente, il coordinatore regionale di Azione Tommaso Fagioli, che è anche consigliere comunale ad Ancona: «Era inevitabile. Per come la vedo io, saremmo dovuti andare da soli fin dall’inizio. Per senso di responsabilità avevamo deciso di portare avanti l’agenda Draghi con il Pd, ma è impossibile farlo con chi non l’ha mai sostenuta. Le ammucchiate con Fratoianni e Bonelli non portano a niente: faremo un servizio migliore al Paese andando avanti da soli contro i populismi e verso la vittoria». Spera invece ancora in una mediazione il capogruppo regionale dem Maurizio Mangialardi, che sottolinea come «in questi mesi il Pd abbia lavorato per trovare una soluzione programmatica ed alleanze serie, partendo dall’agenda Draghi per contrastare le destre. Calenda, per regioni proprie, ha deciso di strappare ma io confido ancora che ci siano margini per ricucire questo strappo».

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