ANCONA - Con la stagione estiva alle porte e le riaperture in vista delle festività pasquali torna alla ribalta, puntuale come un orologio svizzero, il tema della carenza di personale. Gli imprenditori della ristorazione e del turismo lamentano la scarsità di nuove leve che vogliano approcciarsi al lavoro stagionale, seppure in buona parte dei casi gli stipendi garantiti siano quelli previsti dal Contratto nazionale del lavoro per questo settore. «I giovani non hanno più voglia di lavorare nel weekend e la sera», il leitmotiv ripetuto come un mantra.
Il gap
E che ci sia una falla lo certificano anche i freddi numeri.
Le storie
Come Alberto, 25 anni, un diploma all’istituto alberghiero di Senigallia e già 10 anni di esperienza alle spalle, tra stage non retribuiti e contratti saltuari da cameriere. «Ho la passione per questo lavoro e l’ho sempre avuta, ma l’idea che mi sono fatto in questi 10 anni è che, nonostante gli studi, l’impegno e la bravura che mi viene riconosciuta, o lo stipendio è inadeguato, o i turni lavorativi sono fuori portata». Durante la stagione, spesso il giorno libero non c’è e si lavora su doppi turni. «In nero sono 60-70 euro al giorno. Sotto contratto, in media, scendiamo a 40-50 euro», abbozza un prezzario. E dettaglia le esperienze che gli sono capitate: «In hotel mi chiedevano di fare tre servizi, con pause tra uno e l’altro. Ma da cameriere sai benissimo che gli orari si allungano in base al cliente. Spesso non avevo neanche il tempo di farmi la doccia, quindi di fatto è come lavorare 13 ore al giorno per 4-5 mesi». Ma quando dall’hotel si è spostato in un ristorante, la situazione non è migliorata. «Ho lavorato anche come cameriere in uno stabilimento balneare di Falconara. Il contratto era per uno stage: prendevo 1100 euro per fare i doppi turni, lavorando anche 10-11 ore al giorno per sette giorni. Lo stage ne prevedeva 8-9, quindi di fatto due ore al giorno non mi venivano pagate».
Gli stipendi
Uno stipendio non parametrato alla mole di lavoro, ma se alle stesse condizioni venissero offerti 2000 euro al mese, cambierebbe qualcosa? «Per una stagione sì - la risposta di Palumbo - ma per la seconda stagione non tornerei, perché così non avrei una vita. E anche 2000 euro non sarebbero commisurati al numero di ore che vengono richieste. È un mondo che va avanti di stage e sfruttamento». Ne sa qualcosa Tommaso, 25 anni a giugno, che a malincuore ha deciso di lasciare la professione di cuoco. Diplomato nel 2017 all’alberghiero, «da allora ha iniziato a lavorare nelle cucine, partendo da un ristorante di Senigallia che faceva la stagione. A luglio e agosto arrivavamo a 13-14 ore al giorno, superate nel weekend. Sette giorni su sette, con solo mezza giornata libera. E lo stipendio era di 1400 euro per assistente cuoco».
La pietra tombale
Ma la pietra tombale sulla professione l’ha messa dopo l’esperienza in un locale in zona Marzocca, ora chiuso: «Facevo la stagione, nel 2019, come chef di partita. Dopo il primo mese, non mi hanno più pagato lo stipendio. Quindi mi sono licenziato e ho sporto denuncia. Un’esperienza che mi ha segnato, caratterizzata da stress continuo. Una condizione che finisce per annientare l’essere». Abbandonate le cucine, frequenta ora Biologia all’Università. «Potrei occuparmi di nutrizione. Perché è questa la mia passione: avrei voluto continuare a lavorare nel mondo dell’enogastronomia, ma non ho trovato le condizioni per farlo». Tiene invece duro, nonostante tutto, Sara, 23 anni. Anche lei una lavoratrice delle cucine. «Mi è capitato di fare 40 ore, pagate la metà. E il nero è la prassi. Non è che non abbiamo voglia di lavorare, ma queste non sono le condizioni giuste. Ho studiato per fare questo lavoro: perché non devo essere pagata per quanto valgo? Continuo a farlo perché è un lavoro che adoro, ma molte cose andrebbero riviste». Chi di dovere, inizi a prendere appunti.