Il racconto di Alcide Pierantozzi
"Questa sera a casa davanti al camino"

Il racconto di Alcide Pierantozzi "Questa sera a casa davanti al camino"
di Alcide Pierantozzi
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Giovedì 31 Dicembre 2015, 12:25 - Ultimo aggiornamento: 8 Gennaio, 15:22
Io sono un grande festaiolo. Amo la notte, amo la gente, amo ballare.


Amo i cocktail, che a Milano si chiamano sempre drink e ad Ascoli sempre bevute: “ti offro un drink, ti offro una bevuta”. Ormai mi adeguo anche a queste variazioni linguistiche. Per darvi un'idea del mio stile di vita, dirò solo che mi capita spesso di stare seduto con gli amici a un tavolo del bar Picchio, a Milano, alle dieci del lunedì sera, e di sentirmi chiedere: “Cosa c'è in giro stasera? Qualche festa?”. Di lunedì sera! Figuratevi cosa mi succede dal mercoledì in avanti... Forse è per questo che odio la domanda: “A Capodanno che fai?”.

È da circa un mese che ricevo su Facebook messaggi così: “Scendi a Colonnella per le feste? A Capodanno che fai? Dove lo passi il 31?”. Ogni volta resto immobilizzato, con la mascella calata e il mouse del computer in mano, poi mi tocca rispondere che – come da dieci anni a questa parte – la sera del 31 me ne starò a casa, davanti al camino acceso, con nonno e nonna. Immaginatevi la reazione dei miei amici abruzzesi, dei parenti, dei nonni stessi: “Poverino! Non hai nessuno con cui festeggiare! Che tenerezza...”. E subito dopo, soccorrevoli: “Vuoi venire con noi alla festa della parrocchia?”. “Dai, prenoto anche per te il cenone all'hotel?” propone qualcuno. L'esperienza degli hotel una volta l'ho pure fatta, sei ore seduto su una seggiola di plastica in mezzo a duecento sconosciuti e tre amici con i quali era impossibile comunicare, visto che nella sala era in corso l'equivalente di una vecchia puntata di Buona Domenica: una ragazza stonata cantava Come saprei di Giorgia (ma c'è davvero qualcuno che canta ancora le canzoni di Giorgia?), un comico di qualche emittente televisiva locale scimmiottava Diego Abatantuono (ma c'è davvero qualcuno che ride ancora con le battute di Diego Abatantuono?), quattro sciamannate di Castel di Lama, adorabili, ballavano la macarena sotto le masse immobili dei loro capelli freschi di parrucchiera (ma c'è davvero qualcuno che va ancora a farsi i capelli prima delle feste comandate?).

San Benedetto, poi, è una città che la sera del 31 dicembre dà il meglio di sé. L'abbigliamento dei sambenedettesi merita una parentesi; anzi, meriterebbe un corso monografico all'Università, o almeno una pagina su Wikipedia. Non si capisce bene per quale inesplicabile ragione gli abitanti di una cittadina di mare delle Marche debbano inconfettarsi (la parola l'ho inventata io) come i protagonisti dei film di Natale ambientati a Cortina negli anni '80, le signore con quei piumini d'oca bianchi o neri lucidi e gli stivali con i risvolti di pelo di coniglio, i ragazzi, più logici, con i bermuda fino al ginocchio da ottobre a febbraio e i jeans lunghi d'estate, e sempre – sempre – con i cinturoni scintillanti in bella mostra e le orecchie bruciate. Perché le orecchie bruciate? Perché si lisciano i capelli e può succedere che la piastra arroventata scivoli dietro la basetta...

Questa fiera delle vanità rivissuta in chiave “cafonal”, che non risponde ad alcuna norma vigente nell'ambito della moda mondiale, ho dovuto già sopportarla al liceo classico quando le professoresse, vestite tutte come la buonanima di Moira Orfei, pretendevano che noi studenti le prendessimo sul serio.

E dovrei sorbirmela anche stanotte, questa fiera? Chi me lo fa fare? Preferisco starmene a casa con nonna e nonno. Lei con la parannanza impataccata di sugo e le fly flot scolorite che sono le stesse dacché ho ricordi coscienti, lui con i pantaloni sporchi di fango e i calzettoni di lana merinos bucati da cui fuoriesce il pollicione. Loro sì che sono cool. Io prendo lezioni di stile da nonno e nonna.

E non fraintendetemi, non vorrei passare per il milanese d'adozione che dice: non sapete cos'è la moda. Dico il contrario, cioè che quando a Milano vado a una festa, spesso ci vado vestito con i pantaloni del pigiama, con un prototipo di scarpe senza lacci che mi ha dato il mio amico Paolo Pecora, con una giacca grigia senza bottoni regalatami da Giuliano dei Negramaro (e che indosso perché è calda, non perché me l'ha regalata lui) e con il collo avvolto in una sciarpetta bordaux tutta infeltrita che apparteneva a mia nonna Nadina.

“Ma come sei conciato? Io con il pigiama non ti porto da nessuna parte” mi dice mio padre, se gli chiedo un passaggio. Se stasera dovessi andare da qualche parte a festeggiare l'ultimo dell'anno, mia madre mi urlerebbe dietro: “Togliti quelle scarpacce, tuo padre ti presta le Clark's, va' a farti i capelli che c'hai la testa piena di nidi di merlo, mettiti questi pantaloni, che me li ha dati una collega perché non stanno a suo figlio, guarda che simpatici”, al che domando di dov'è la collega e se mi dice di San Benedetto so già che mi darà dei pantaloni aderenti color confetto, con qualche scritta argentata sulle chiappe, per mia madre contrassegno di simpatia.

Tutto questo per dire che se stanotte me ne starò in casa, e se più o meno ogni anno me ne sono rimasto in casa, non è per snobismo, non è per solitudine, è solo perché non voglio vestirmi come un confettino in vacanza a Cortina d'Ampezzo. Che cosa farò a casa mentre gli altri festeggiano? Mi concederò una serata di tregua dalle feste di tutti i giorni: studiando, scrivendo.

Perché se è vero, e lo è, che non c'è niente di più piacevole che perdere tempo al bar o in discoteca fino alle prime luci dell'alba di un giorno feriale, quando gli altri si stanno alzando per andare a lavoro, è altrettanto vero il piacere di studiare e concentrarsi nei giorni di festa. In quei giorni la concentrazione si tende al massimo, anche la mente è in festa! Provate a leggere un libro difficile stanotte, mentre attendete la mezzanotte.

Non un libro qualsiasi, leggete un libro difficile, un manuale di fisica quantistica, un testo di filosofia medievale. Vedrete che lo capirete benissimo, che ogni singola parola vi resterà impressa come se il vostro cervello fosse fatto di carta assorbente. Provate invece a festeggiare la sera del 7 o dell'8 gennaio, a rompere quella cortina di angoscia che grava sulla fine delle vacanze. Non lasciate a nessuno il compito di dirvi quando e come si festeggia, e per che cosa. E, soprattutto, non lasciate che vi dicano come ci si veste, non a San Benedetto, che è una città meravigliosa ma con strane, stranissime idee di look.
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