Pettinari: «Abuso d’ufficio? Va abolito. È una norma irragionevole». Bacci: «Equilibrio. Va chiarito qual è il perimetro»

Pettinari: «Abuso d’ufficio? Va abolito. È una norma irragionevole». Bacci: «Equilibrio. Va chiarito qual è il perimetro»
Pettinari: «Abuso d’ufficio? Va abolito. È una norma irragionevole». Bacci: «Equilibrio. Va chiarito qual è il perimetro»
di Martina Marinangeli
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Mercoledì 13 Ottobre 2021, 04:00

ANCONA - Il reato di abuso d’ufficio? «Va abrogato. È una norma irragionevole e incomprensibile». Non usa giri di parole il presidente della Provincia di Macerata Antonio Pettinari, che si allinea alla posizione presa sul tema dalla sindaca di Ancona Valeria Mancinelli. Visto da molti funzionari pubblici come un cappio al collo, è oggetto di proposte di riforma avanzate da diversi gruppi parlamentari. C’è però chi si spinge fino a chiederne l’abolizione.

«È una spada di Damocle sopra la testa di ogni amministratore - argomenta Pettinari - anche dei più onesti e rigorosi.

La legittimità di un atto è già tutelata da altre norme giuridiche. Non si può vivere con l’ansia di venire paragonati a chi è corrotto, a chi fa azioni di rilevanza penale. Rappresenta un freno per l’efficienza della pubblica amministrazione». 


Il muro
Freno tirato anche da altri fattori complementari: «Un funzionario pubblico si trova già di fronte a un muro di burocrazia sempre più spesso, dal momento che più si parla di semplificazione, più le cose si complicano. Se rischia, in perfetta buona fede, di inciampare su qualsiasi sciocchezza, si blocca tutto». Non di abrogazione, ma di ricerca di un «equilibrio» parla Massimo Bacci, sindaco di Jesi: «Il fatto che la norma sia indeterminata e non precisa rende tutto complicato. La responsabilità è in capo ai dirigenti e questo molte volte frena l’attività amministrativa. Va chiarito qual è il perimetro all’interno del quale si possano muovere un amministratore e un dirigente pubblico». 


Le procedure
E anche per Bacci il discorso si lega agli ostacoli della burocrazia, definita «tremenda: anche la più semplice delle procedure amministrative richiede almeno un paio di mesi di attesa. Bisogna chiarire quale sia il vero abuso d’ufficio». Per Gabriele Marra, docente di Diritto penale all’Università di Urbino, invece, riformare ora il reato di abuso d’ufficio «sarebbe inutile. Il legislatore ha già fatto un’operazione molto selettiva su cosa ricadesse nel perimetro dell’illecito. Riuscire a fare una riforma in senso ancora più restrittivo, la vedo dura. Con le riforme che sono state fatte nell’ambito della normativa emergenziale legata alla gestione della pandemia, il legislatore ha già provveduto a riqualificare in maniera significativa il perimetro del reato».


Il monitoraggio 
Cauto anche Massimiliano Belli, avvocato penalista di Ancona. «La norma in passato non ha funzionato benissimo, ma l’impatto della riforma del 2020 ancora non l’abbiamo visto. Sarebbe più saggio aspettare di vederne prima gli effetti. Non sposo la tesi dell’abrogazione tout court della norma, ma deve essere sempre monitorata nella sua applicazione». La ragione di fondo, come spiega l’avvocato, è che si tratta «di una fattispecie diversa dagli altri reati contro la pubblica amministrazione perché prescinde da quello schema di mercimonio della funzione pubblica. Ha vissuto per anni una distorsione applicativa caratterizzata da una svalutazione di quello che era il profilo di infedeltà tipico dell’amministratore, cioè la violazione di legge. La storia è quella di una norma che ha sempre vissuto vicende travagliate, sia dal punto di vista dell’applicazione – e quindi dell’interpretazione -, sia da quello dell’assestamento definitivo del perimetro della liceità penale». Aggiunge però che «è una norma a cui l’ordinamento non può rinunciare. Tuttavia, necessita di essere scritta in modo molto preciso. Il diritto penale impatta fortemente sulle persone: rispetto all’abuso di ufficio, mi sembra una conseguenza non accettabile. Ho clienti che vengono sottoposti a processi su qualunque cosa per abuso d’ufficio e puntualmente, nella maggior parte dei casi, finiscono con pronunce liberatorie».

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