Le motivazioni della sentenza: «Così Enea ha ucciso sua nonna, Rosina morta in quattro minuti»

Rosina Carsetti
Rosina Carsetti
di Benedetta Lombo
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Martedì 11 Aprile 2023, 05:50 - Ultimo aggiornamento: 19:04

MACERATA - Per i giudici della Corte d’Assise Enea Simonetti, all’epoca 20enne, avrebbe ucciso la nonna Rosina Carsetti, il pomeriggio della vigilia di Natale del 2020 dopo l’ennesimo litigio sorto tra i due, quando il giovane era rientrato in casa dopo aver scattato una foto in giardino, oppure incontrando l’anziana mentre saliva in camera. È l’unico ad aver avuto un motivo per ucciderla e l’unico attorno al quale è stato costruito un alibi.

«È indubbio che Enea Simonetti fosse pienamente consapevole delle condizioni fisiche della nonna, ormai indebolita dai suoi 78 anni di età e che proprio tale caratteristica gli avesse consentito di ucciderla, nell’arco di quattro minuti, compressa

dal suo corpo, con la bocca e il naso occlusi, stretta al collo dalla sua mano “di nipote”».
È uno degli ultimi passaggi con cui i giudici (a scrivere è Daniela Bellesi) motivano la sentenza con cui il 15 dicembre scorso hanno condannato all’ergastolo il 22enne per l’omicidio della nonna, un omicidio di cui evidenziano «la gravità e la brutalità», assolvendo dallo stesso reato la mamma Arianna Orazi e il nonno materno Enrico.

Tutti e tre furono condannati per la simulazione di reato (quando inventarono la storia del ladro vestito di nero che era entrato in casa il pomeriggio della vigilia di Natale del 2020, in pieno lockdown, uccidendo l’anziana e legando Arianna e il padre, mentre Enea era andato al supermercato a fare la spesa per poi restare un’ora e mezza in auto a giocare col cellulare), ma assolti dagli ulteriori reati contestati, tra cui i maltrattamenti all’anziana.


In 740 pagine il giudice estensore ha ripercorso tutti i passaggi spiegando, reato per reato, come sono giunti alla decisione. A incastrare Enea sono state le intercettazioni eseguite a 360 gradi in cui lui stesso ammette il delitto (era la mattina di Natale ed erano in caserma) parlando con la madre: «Ma ti rendi conto di quello che ho fatto?», e Arianna risponde: «Non me ne frega niente», e lui: «No, so’ scappato via, dopo». Queste ammissioni autoaccusatorie sarebbero poi suffragate dalle dichiarazioni della madre e del nonno. Sempre in caserma la mattina di Natale, 


Arianna aveva detto al figlio che una volta fatta l’autopsia, gli inquirenti avrebbero scoperto che Rosina era morta «strozzata… chi cazzo l’ha strozzata, Enea? Uno che pesa 70 chili? (il riferimento è al nonno Enrico, ndr) Io? Enea, non dire mai quello che hai fatto… mai, ad un’anima!». Il 28 gennaio Arianna parlando col figlio: «Io non oso pensare a quello che hai fatto… non oso pensà». «Che ho fatto?», le aveva risposto Enea e lei: «Non potimo dì niente adesso!». Anche nelle parole che il nonno pronuncia parlando col figlio in caserma il 25 dicembre i giudici trovano un avallo alle asserzioni autoaccusatorie di Enea: piangendo Enrico aveva detto al figlio riferendosi inizialmente alla moglie Rosina «Per il male che mi ha fatto, non me ne frega niente. Ma adesso quello là, c’ha vent’anni». Dopo il delitto mamma e nonno avrebbero «costruito ad arte intorno ad Enea uno scudo protettivo», Arianna tentando «disperatamente di dimostrare l’innocenza dell’unico autore del reato, mentre Enrico, dopo le dichiarazioni iniziali volte a sostenere l’ipotesi della simulazione della rapina al solo scopo di “salvare” il nipote dall’accusa di omicidio, si era trincerato in un silenzio glaciale, preoccupato nella propria ottica che le proprie parole potessero pregiudicare la posizione del nipote, anziché aiutarla». 


Per questo Enea era andato al supermercato ed era rimasto un’ora e mezzo nel parcheggio, per precostituirsi un alibi, ma per i giudici quell’alibi copriva un arco temporale limitato, dalle 17.47 e le 19.41, mentre il medico legale Roberto Scendoni aveva collocato l’orario del decesso tra le 16.30 e le 18.30. Insomma, l’alibi non avrebbe escluso la presenza di Enea in casa nell’ora dell’omicidio della nonna che i giudici collocano tra le 17.15 e le 17.47. 
Nonostante ciò il giovane, «forte del suo alibi “costruito” anche in sede dibattimentale, senza scrupoli, aveva.


Il movente? Un litigio, l’ennesimo, «scaturito – scrive il giudice - da un “dispetto” da parte di Enea, o da una “offesa” proferita nei suoi confronti dalla nonna (Enea aveva riferito che la nonna lo insultava chiamandolo “deficiente”, “stupido”, ndr.) o dalla contestuale reciprocità delle due condotte». A fare da cornice all’omicidio c’era un clima familiare teso, per i disagi scaturiti dalla crisi finanziaria della ditta e per la convivenza dei due nuclei familiari da circa 10 mesi, e un rapporto, nonna-nipote, «privo di un sincero affetto reciproco piuttosto connotato da una vicendevole tensione latente, mai compiutamente esternata tanto da non essere mai travalicata in maltrattamenti, ma, al contempo, mai catartizzata». E proprio in merito ai maltrattamenti, questi sono stati esclusi dai giudici perché «alcune delle condotte prospettate come vessatorie non risultano dimostrate, mentre altre risultano altrimenti giustificabili».

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