Le acqueforti di Bartolini narrano la sopravvivenza. L’esposizione “Al vivo nero” ad Urbino. Prorogata fino al primo maggio

Le acqueforti di Bartolini narrano la sopravvivenza. L’esposizione “Al vivo nero” ad Urbino
Le acqueforti di Bartolini narrano la sopravvivenza. L’esposizione “Al vivo nero” ad Urbino
di Lucilla Niccolini
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Martedì 19 Marzo 2024, 03:00 - Ultimo aggiornamento: 16:37

Sono creature marginali, di rado rappresentate dagli artisti, quelle che Luigi Bartolini ha ritratto nelle sue acqueforti. Topi e pipistrelli, o cicale di mare, le pannocchie dell’Adriatico, tra ponti di legno che non esistono più e paesaggi dirupati delle sue Marche: l’artista, nativo di Cupramontana, ha sempre rivolto un’attenzione affettuosa agli umili. Conquistano, sotto le sue mani sapienti, la poesia implicita nell'arte della sopravvivenza, un lirismo arcaico. 

Le celebrazioni

La capacità di Bartolini di dare dignità al quotidiano emerge con forza nella mostra “Al vivo nero. Luigi Bartolini incisore”, con cui Urbino omaggia il 60esimo anniversario della scomparsa dell'artista, avvenuta a Roma il 16 maggio del 1963. Allestita nelle sale del Castellare, a cura di Alessandro Tosi e Luca Cesari, l’esposizione rientra nelle celebrazioni, iniziate nel 2023, promosse dalla Regione Marche, in collaborazione con i Comuni di Macerata, Urbino, Camerino, Cupramontana e Osimo. La chiusura della mostra nella città Ducale era stata fissata al 1° aprile. La buona notizia è che il Comune di Urbino annuncia ora una proroga fino al 1° maggio, per permetterne la visita anche ai turisti che, per ovvi motivi climatici, preferiscono dedicare i mesi primaverili al godimento delle meraviglie federiciane, monumenti e musei. «Come posso non augurarmi, pur rallegrandomi, che la mostra resti aperta anche più a lungo?».

La figlia Luciana

La figlia di Luigi, Luciana Bartolini, vestale laica della tradizione artistica paterna, sottolinea che le tante opere esposte, tra cui alcune inedite, sono state selezionate, oltre che dalla sua collezione personale, da quelle dei due autorevoli personaggi, amici di suo padre, Sebastiano Timpanaro e Paolo Bassano. «Con “Fonte San Gennaro”, papà si aggiudicò, tra i tanti della sua carriera, il primo premio, ex-aequo con Morandi e Boccioni (alla memoria), all’Esposizione del Bianco e Nero, che si tenne, nel ‘32, agli Uffizi.

E nel 2019, l’allora direttore Eike Schmidt ha voluto acquistare, per la galleria fiorentina, otto incisioni di mio padre, per completare quella collezione di sue acqueforti, e portarla a venti». L’orgoglio di figlia poi la induce a segnalare che le opere, che compongono la mostra del Castellare, sono “commentate” dai testi poetici di Bartolini, e da stralci dello sterminato epistolario, che lui intrattenne con artisti coevi. «In archivio ho trovato anche – si commuove Luciana – una poesia inedita, in francese, di Ungaretti».

Il segno indelebile

La storia dell’arte e della cultura del ‘900 è stata scritta anche da Luigi Bartolini, un protagonista che, dalla terra marchigiana, fin da giovanissimo si è confrontato con tutte le correnti contemporanee, lasciando un segno indelebile. Non solo con la narrativa, di cui si ricorda solo il romanzo “Ladri di biciclette”, ispiratore del ben più noto film, e con la pittura. Ma più ancora con la frenetica produzione incisoria, dove l’attitudine ironica, lo sguardo lucido non tolgono lirismo all’osservazione emozionata della realtà. Un personaggio dimenticato, Luigi Bartolini, cui queste celebrazioni devono restituire la fama e la dignità di marchigiano illustre.

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