L'alpinista Nasim Eshqi: «Così difendo i diritti delle donne in Iran e in tutto il mondo»

Esce il suo libro "Ero roccia ora sono montagna" della campionessa in esilio

L'alpinista Nasim Eshqi: «Così difendo i diritti delle donne in Iran e in tutto il mondo»
L'alpinista Nasim Eshqi: «Così difendo i diritti delle donne in Iran e in tutto il mondo»
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Giovedì 15 Febbraio 2024, 20:16

Il suo nome, Nasim, vuol dire "brezza gentile". Un nome appropriato: «Ho la resistenza per continuare all'infinito - dice - non mi fermo mai». Nasim Eshqi nasce a Teheran il primo giorno di primavera del 1982. Tre anni dopo il ritorno dall'esilio dell'ayatollah Khomeini, e due anni dopo l'inizio della guerra con l'Iraq. Il regime filo-occidentale dello scià è stato rovesciato, iniziano i tempi bui della rivoluzione islamica. Oggi questa donna irriducibile è l'unica alpinista professionista iraniana, con una missione da compiere: «Combattere per la libertà nel mio paese e per tante altre donne meno fortunate di me». La sua storia, già raccontata due anni fa dal documentario Climbing Iran proiettato alla Festa di Roma, ora viene messa nero su bianco nel memoir Ero roccia, ora sono montagna, appena uscito per Garzanti e scritto a quattro mani con la stessa Francesca Borghetti, autrice del docufilm. Nasim è la "brezza gentile" che non si spezza in un mondo ostile, in cui i diritti delle donne vengono calpestati e offesi. È la bambina che sogna di essere un uomo, scopre le arti marziali e la libertà delle scalate. Nasim Eshqi oggi vive principalmente in Italia, vicino a roccia e montagne. Presenterà il libro il 19 febbraio al Circolo dei lettori di Torino (ore 21) e il 24 a Finale Ligure, libreria Cento Fiori (ore 18).

Ai tempi delle gare di kickboxing


Quando è iniziata la sua ribellione?
«La violenza non dovrebbe avere ragione di esistere. Ma io, che sono nata forte per natura, ho deciso di diventarlo ancora di più, per potermi difendere da sola. È per questo che ho cominciato a praticare karate, e sono diventata campionessa di kickboxing. Se mi mettono alle strette, posso reagire, difendermi. O, almeno, correre via».


Lei racconta una notte d'inferno, abbandonata prima dal padre e poi dalla madre, senza avere un posto dove andare. Come ha trovato il coraggio di andare avanti?
«Sono nata così, non so se dipenda dallo sport, dall'educazione, dalla genetica o dalla necessità di sopravvivere».


Come è nata la passione per la montagna?
«Stavo passeggiando in alta quota, e ho conosciuto delle persone che praticavano questo sport. Ci ho voluto provare subito: ho assaporato la gioia di essere lontano dalla città, all'aria aperta, nascosta alla vista della polizia».


In realtà gli occhi dei cosiddetti guardiani della rivoluzione li ha trovati anche lassù, vero?
«Sì, sono arrivati e hanno preteso che separassimo la cordata tra uomini e donne. Ma pensare di poter fare una scalata in quel modo è una cosa folle. Che facciamo, dividiamo la montagna in due? Fortunatamente gli agenti non possono arrivare sulle pareti a picco, per la maggior parte del tempo eravamo liberi. Quando ci hanno sorpresi, abbiamo preso le nostre cose e siamo tornati a casa».


Lei ha aperto nuove vie verso molte vette, in Iran e nel resto del mondo. Una l'ha chiamata "Pinocchio". Perché?
«Da bambina mi piaceva evadere, rifugiarmi nelle favole.

Sono nata in un periodo in cui c'era la guerra tra Iran e Iraq, tutto appariva tetro e triste, la repressione era ovunque. Eppure, credevo nei miracoli. Pinocchio è una delle storie che più mi ha colpito da bambina: è un modo di dedicare le mie imprese a ciò che amo».


Quanto è stato difficile girare il documentario in Iran?
«Ho rifiutato altre proposte di cineasti ma Francesca ha insistito molto, era veramente interessata al progetto. Eppure è stato molto pericoloso. Agenti in moto, in borghese, ci chiedevano cosa stessimo filmando, anche se eravamo con una troupe iraniana regolarmente autorizzata. È stato il coraggio a permetterci di andare fino in fondo».


Oggi che vive lontano da Teheran, si sente ancora in pericolo?
«Scrivo contro il regime islamico, e ci sono estremisti che hanno la mente malata, che potrebbero fare qualsiasi cosa. Ma non sono io a dover avere paura, bensì l'Europa nel suo complesso: l'Iran ha speso moltissimi soldi per aprire centri islamici. Ciò che temo è che riescano a danneggiare, dall'interno, le nazioni democratiche. Per loro le donne non esistono, non hanno diritti. Il mio è un messaggio per tutti i paesi del mondo: racconto la vita di una ragazza che insegue un sogno, arrampicandosi sulle montagne, una ragazza in cui milioni di altre si possono identificare».


Ora in che modo intende lottare per i diritti del suo Paese, dall'estero?
«Ci sono tantissime minorenni in Iran, che vengono promesse a uomini anziani da quando hanno nove anni. Voglio essere la loro voce. Io sono stata malmenata, arrestata. Non facevo altro che piangere e pensare al suicidio. E questa situazione orribile è la stessa per moltissime altre donne, che non hanno avuto il privilegio, come me, di scalare le montagne, di scrivere un libro».


Quali sono i suoi obiettivi?
«Ispirare più persone possibile, farle diventare più forti. Ma se mi dovessi dare un obiettivo su tutti, direi: costruire scuole. L'educazione è l'unica soluzione. L'educazione mi ha salvato la vita. Quanto all'alpinismo, ho questo progetto di aprire nuove vie sulle montagne, in tutti i continenti. È un'impresa che voglio dedicare al movimento per i diritti umani. Nel mondo della montagna questi temi non sono molto praticati, purtroppo. Magari si parla molto di global warming, ma non di questo. A volte cercano di censurare le mie interviste, mi impediscono di dire quello che voglio».


La censurano anche in Occidente?
«La comunità sportiva spesso lo fa, le grandi compagnie di sponsor si tengono alla larga da questi temi. Non voglio fare nomi. Naturalmente cercano di vendere i propri prodotti, ma se io voglio parlare di Mahsa Amini (la donna uccisa nel 2022 per non avere indossato l'hijab, ndr) mi rispondono che non è il caso. Invece bisogna sempre difendere chi non può farlo con le proprie forze».

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