La nuova legge elettorale può far sorridere le Marche

La nuova legge elettorale può far sorridere le Marche

di Giovanni Guidi Buffarini
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Venerdì 18 Ottobre 2019, 10:04 - Ultimo aggiornamento: 25 Ottobre, 12:39
Abbiamo dunque la nuova legge elettorale regionale. Approvata da Partito democratico e Movimento Cinque Stelle fra le indignate proteste dei consiglieri di Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia e Area popolare, che l’aula hanno abbandonato al momento del voto. Comprensibilmente, verrebbe da dire. E invece no. Nelle Marche ci siamo semplicemente accodati al (riprovevole, certo) andazzo vigente su scala nazionale da oltre dieci anni.

Da tanto, chi può, chi «ha i numeri», alla vigilia del voto modifica le regole del gioco a proprio vantaggio. Lo hanno fatto tutti, a turno. I leghisti non possono aver dimenticato Calderoli e il suo Porcellum, nome nato da una ammissione del Calderoli medesimo: «La legge elettorale? L’ho scritta io ma è una porcata». Mentre la legge - proporzionale, dopo un ventennio abbondante di collettivo «quanto è bello il maggioritario» - con cui abbiamo eletto l’ultimo Parlamento recava il sottotitolo implicito ma da chiunque decifrabile: «Per favorire la nascita di un governo Renzi - Berlusconi e tenere i Pentastellati all’opposizione». Progetto che gli elettori resero inattuabile. È la Seconda Repubblica, bellezza. O la Terza. Dove a getto continuo si sfornano leggi elettorali a misura della maggioranza. Dove la maggioranza (quale che sia) tenta perfino di cambiare la Costituzione. Salvo rimediare referendarie legnate sui denti. Le forzature non portano mai i risultati sperati dai loro artefici: è dato statistico. La nuova legge elettorale marchigiana in sé non è neppure male. Innalzare - dal 34 al 40%, con ulteriore scatto al 43% - la soglia per il premio di maggioranza suona giusto. Da un lato impedirà che una forza politica votata da un elettore su tre faccia il bel tempo e il cattivo, dall’altro, imponendo di fatto alleanze, porterà a una divisione netta destra - sinistra scongiurando la politica dei due forni, dei dieci forni, («siamo tutti fornai» diceva una pubblicità) e una legislatura che comincia con un governo ma poi, oplà, ecco subentrarne uno di segno affatto opposto, pienamente legittimato il secondo come il primo, d’accordo, però la cosa fa un po’ strano, e non è uno strano piacevole, da qualsiasi parte la si rigiri, da qualsiasi parte si voti.

Ma il vulnus della approvazione indebita resta. In un Paese serio, le regole del gioco o si cambiano insieme - tutti o quasi - oppure non si toccano. (Chissà quanti concordano a tal proposito).
Su un solo punto, tutti i gruppi presenti in Consiglio Regionale si son trovati d’accordo e hanno votato a favore. Sull’introduzione della doppia preferenza di genere, già vigente a livello nazionale. Festanti le signore in fucsia: «Una giornata storica», o giù di lì. Se fossi donna, non credo festeggerei più che tanto una norma che suona simile a quelle per la protezione del panda. Non faccio testo, per carità. Non faccio mai testo, per mia fortuna. Ho chiesto piuttosto un’opinione in merito ad alcune conoscenti (quattordici: grazie per la pazienza). Dieci si son dichiarate favorevoli, tre contrarie (motivazione: «no panda-trattamento, per favore»), una totalmente disinteressata alla questione. Test superato dunque, sebbene il campione non abbia il minimo significato statistico. Più importante è interrogarsi sulla effettiva efficacia di tale norma. Esaminando i dati delle elezioni politiche. Nel 2013 (ultima tornata senza doppia preferenza di genere) le parlamentari erano 299, il 30,1%. Nell’attuale Parlamento, le donne sono 334, il 35%, record nella storia repubblicana. Il trend ascendente, e bello deciso, tuttavia dura dal 2006, quando le deputate e le senatrici superarono per la prima volta quota 150. Le donne insomma i loro sacrosanti spazi in politica, come in ogni altro ambito sociale, han cominciato a prenderseli da quel dì. La doppia preferenza di genere ha dato e darà un contributo a un più celere raggiungimento della piena parità fra i sessi, ma il (sacrosanto) mutamento sociale è già in atto, ed è ciò che davvero conta. E adesso sotto con la prossima tappa sulla strada delle elezioni. La scelta dei leader delle coalizioni. Nebbia fitta a destra, nebbia fitta a sinistra. E coltelli amici che nella nebbia si affilano. È la politica, bellezza. Da sempre, in questo caso.

*Opinionista e critico cinematografico
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