In Italia si discute molto di pensioni e sanità, meno di istruzione. Ciò è comprensibile dato il progressivo invecchiamento della popolazione. Ma è ingiustificato se si considera che il grado di istruzione della popolazione è uno dei principali fattori determinanti la crescita del Pil; con il quale si pagano pensioni e sanità. La situazione dell’istruzione, ed in particolare dell’istruzione superiore e dell’università è da tempo a livelli di allarme. L’Italia è fra i paesi europei con le più alte percentuali di studenti che non terminano il ciclo dell’istruzione superiore e con le più basse percentuali di studenti che proseguono dopo il diploma e arrivano alla laurea. Siamo penultimi nella UE (superiamo solo la Romania) per la percentuale di giovani laureati. I laureati nella popolazione adulta sono il 20% mentre superano il 50% negli Usa, in Giappone o in Corea del Sud. La Corea del Sud è considerata il paese di riferimento per l’investimento in istruzione. Non è un caso che negli ultimi vent’anni il Pil pro-capite della Corea del Sud è raddoppiato mentre quello italiano è calato del 3%; mettendo a rischio la possibilità di continuare a finanziare gli attuali livelli di pensioni e sanità. Malgrado questa situazione continuiamo ad essere fra i paesi avanzati che spendono meno in istruzione. Né il tema è fra le priorità dell’agenda politica e del dibattito pubblico. Nelle scorse settimane l’Ocse ha pubblicato i risultati dell’ultima indagine Pisa (Programme for International Student Assessment), un’indagine finalizzata a valutare la preparazione degli studenti delle scuole superiori in alcune materie di base, fra le quali la matematica, la lettura e le scienze. Nella stampa e nei media vi sono stati diversi interventi di commento ai risultati PISA ma non quanto avrebbe meritato l’importanza della materia. I risultati dell’indagine, effettuata nel 2022, erano particolarmente attesi poiché il confronto con la precedente indagine del 2018 consente di valutare gli effetti sui livelli di apprendimento dovuti alla pandemia. L’indagine ha coinvolto quasi 700mila studenti fra i 15 e i 16 anni rappresentativi della popolazione studentesca di 81 paesi.
*Docente di Economia all’Università Politecnica delle Marche e coordinatore della Fondazione Merloni