Quelle giovani vite di studenti in cerca di un progetto sociale

Quelle giovani vite di studenti in cerca di un progetto sociale

di Rossano Buccioni
4 Minuti di Lettura
Martedì 9 Aprile 2024, 03:10

In un liceo scientifico di Ancona un ragazzo di prima superiore viene interrogato alla lavagna e non avendo fatto i compiti, prende un brutto voto in matematica. Arriva la campanella della ricreazione ed i suoi compagni di classe escono dall’aula mentre il ragazzo improvvisamente apre la finestra per gettarsi senza indugio dal terzo piano. Il terreno sottostante attutisce la caduta evitando la morte del giovane. I nativi digitali, figli di un “allevamento mediatico” intensivo e della sostanziale impossibilità di attivare forme di correggibilità da parte degli adulti, vivono il rapporto insegnanti/studenti ispirato ad un blando accompagnamento al ciclo scolastico successivo, senza nessun corredo empatico né circolazione affettiva destinata a produrre differenza, e – soprattutto - senza nessuna possibilità di interdire o modulare fasi di deficitaria strutturazione della personalità, visto che il docente è imbrigliato kafkianamente nell’asfissia ottusa delle più occhiute burocrazie e lo studente nell’ovvia ansietà della propria vis roboris prestazionale. La blandizie scolastica che regolarizza nell’inconsistenza il rapporto tra adulti e giovani è sintetizzata da due episodi in margine sia ai fatti del “Savoia-Benincasa” sia di quelli occorsi all’Istituto varesino dove uno studente ha accoltellato la sua professoressa di Lettere. Ad Ancona il ragazzo ha atteso la campanella della ricreazione per gettarsi nel vuoto.

A destabilizzare la fragile scenografia competente del ragazzino – E. Goffmann direbbe che il retroscena ha divorato la scena sociale in cui si esibiva quotidianamente il ragazzo - sarebbe stata l’insufficienza ricevuta al culmine del rito psico-sociale dell’interrogazione alla lavagna. Testimone della debacle, la classe si mutava in coro greco nel presagire l’implacabile nota sul registro che ufficializzava il mancato svolgimento dei compiti. Sull’effetto esercitato dal brutto voto, se si sia trattato di un vero e proprio azzeramento della propria auto-efficacia che ha risucchiato il ragazzo in un terribile cono d’ombra, o se si sia trattato di una macchia incancellabile, un’onta impossibile da raccontare in famiglia, non è facile discutere qui.

Riguadagnato mestamente il suo posto, il giovane avrebbe preso un quaderno per scrivere un messaggio d’addio con l’inchiostro indelebile del fallimento. Colpisce in questo tragico evento una sorta di alternanza tra estrema aderenza regolamentare – cura per ciò che è concesso ed attenzione ciò che non lo è - ed il divampare di una catastrofe psichica incomprimibile che finiva per divampare nell’ovvietà del menage scolastico. Non solo il ragazzo ha atteso la campanella della ricreazione, ma sembra che avesse lasciato anche la password del suo cellulare, sequestrato insieme al quaderno. Nelle teorie suicidarie contemporanee si parla spesso di tentati suicidi in vista di un assurdo – quanto paradossale - nuovo inizio, come se l’azione estrema dovesse rilanciare le parti funzionali dell’assetto di personalità in un contesto finalmente diverso.

Nell’episodio avvenuto in un istituto professionale di Varese, il ragazzo dopo aver accoltellato la prof. provocandole gravi ferite, si è seduto sulle panchine antistanti l’edificio scolastico ed ha atteso le forze dell’ordine, quasi a dare l’ennesima opportunità all’impersonalità adulta (il classico “si deve fare così”) di fare il proprio dovere, socializzandolo o ri-socializzandolo ancora, vista l’inconsistenza dei precedenti progetti di vita e della codifica normalizzante che vi si aggiungeva.

Le scuole di Ancona e di Varese si sono subito attivate per dare ai ragazzi e ai docenti un supporto psicologico. Il filosofo Umberto Galimberti recentemente suggeriva ai genitori, non solo di uscire dalla vita scolastica dei figli, ma anche di accettare il riposizionamento edipico della tarda adolescenza, età in cui si pianifica il classico “omicidio simbolico” dell’adulto significativo, allo scopo di entrare da protagonisti nell’agone sociale “dell’adulto generalizzato”. Il ragazzo di Varese, non potendo attivare il processo personale di individuazione in ambito familiare lo ha fatto scoppiare nel contesto scolastico, mentre lo studente di Ancona - scrivendo di valere socialmente poco - accettava di rinunciarvi definitivamente, disposto a pagare con la vita il mancato adeguamento a modelli esterni di strisciante disumanizzazione centrati sul turn-over delle competenze e sulla rimozione delle dimensioni dell’affettività profonda. L’alunno del Savoia-Benincasa ha sofferto per l’improvvisa compromissione dell’ordine di priorità stabilito dagli adulti significativi nella sua vita.

Tuttavia è lecito chiedersi se eseguisse o vivesse, magari senza essere attratto dalla sua vocazione autentica, verosimilmente spinto da adulti esigenti a fare delle cose e non ispirato dalla rivelazione di una vocazione personale. Ecco il senso della frase “Ho preso un due e una nota disciplinare, sentendomi umiliato”. Allora la prima questione è chi/cosa ha tentato il suicidio: una giovane vita cui è ancora negata la propria individuazione o un progetto sociale centrato su competenze generali che poco hanno a che vedere con emozioni, sentimenti e relazioni umane? Un secondo punto appare interessante, quello delle immediate confidenze del suo fallimento al personale dell’Ospedale di Torrette, dov’è arrivato d’urgenza, riportando un trauma toracico e fratture al bacino. Si tratta di una ammissione di fallimento che non era possibile fare a scuola né a casa e che gli garantiva una nuova comprensione adulta? Oggi la psiche ammala non perché sia sbagliata, ma perché a collassare è ormai un intero sistema culturale.

*Sociologo della devianza 
e del mutamento sociale

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