Diversi osservatori hanno letto nei segnali inequivocabili della corporeità dei leader in campo un surrogato agli scarsi risultati dei negoziati di pace tra Russia ed Ucraina, cercando di dedurre dal linguaggio delle emozioni una realtà più generale da cui pronosticare gli esiti del temibile conflitto. Si è ipotizzato che la fredda determinazione di una dichiarazione di guerra potesse celare presunte sintomatologie e che le abilità attoriali nell’indossare una tuta mimetica potessero incarnare la resistenza dell’intero Occidente democratico. Appartiene proprio all’ex impero sovietico la ricerca di rilevanze psicologiche costruite all’interno delle funzioni di polizia politica e “sanità ideologica”, in linea con la tradizione del “dissenso come sintomo” da cui dedurre corrispondenze tra normazione psichica e specchiata adesione partitica, organica ad un pronunciamento politico formalmente istituzionalizzato. Lo psicologo Massimo Recalcati ricorda che «il Novecento ci ha insegnato come la megalomania paranoide dei grandi leader per conquistare il consenso alla guerra necessiti sempre di una condizione predisponente al narcisismo idolatrico: l’ideologia». L’esagerata passione narcisistica per sé stessi costituisce una lente deformante che utilizza il culto della personalità per determinare visioni pericolosamente distorte della realtà, interpretata a partire dalla promozione del sé e dall’auto-riferimento delle sue rappresentazioni. Per contornare sul proprio io la costruzione politica della realtà, l’accecamento narcisistico abbisogna di strategie per il governo del consenso: pugno di ferro, la difesa dei confini enfatizzando minacce esterne e la costruzione del nemico in base a dinamiche di de-umanizzazione. Specchio dell’esagerata auto-considerazione di un ego tirannico, la parzialissima lettura della realtà si nutre anche di sofismi, con la stessa parola “guerra” che viene spesso accuratamente censurata dai media di regime a favore di formule neutre come “operazione speciale” ecc., essendo la divaricazione tra linguaggio e realtà astuzia ricorrente di ogni regime autoritario. La retorica della tirannide ci aveva già abituato nel “secolo breve” a sofismi linguistici che tendevano a nascondere lo scempio della violenza anche nell’ottica di un sinistro senso del dovere come scappatoia deresponsabilizzante nei confronti di tragedie immani cui si dava coscienziosamente quotidiano contributo. L’esito scontato della sintesi di questi elementi è l’insignificanza della singola vita di fronte alla cecità fanatica dell’ideologia. E’ questo il grande vantaggio di cui gode l’autocrate, dato che la lettura democratica della realtà prevede pur sempre la garanzia dello spazio di azione dell’avversario. Il meccanismo è cieco e fatale: più si accentua il valore assoluto/ideologizzante della causa, più perdono valore e dignità le storie e le visioni alternative di persone in carne ed ossa.
*Sociologo della devianza e del mutamento sociale