Cercavano giustizia, trovarono la Legge. Come cantava Francesco De Gregori nella ballata Il bandito e il campione, anche i familiari di Carmela Rea, nota a tutti come Melania da quando nell’aprile 2011 in un bosco del Teramano si scoprì il suo cadavere trafitto da 36 pugnalate, hanno avuto modo di sperimentare la distanza che può esserci tra la Legge, come quella del ‘75 che la Camera Penale di Ancona richiama sul reinserimento sociale del condannato, e un comune senso di giustizia. E la domanda di fondo posta nel nostro servizio del 7 luglio (è giusto così?) era tutt’altro che provocatoria. Suonava come un interrogativo alle coscienze: è giusto che un condannato a 20 anni di carcere come l’ex caporalmaggiore dell’Esercito Salvatore Parolisi - giudicato colpevole di omicidio volontario aggravato e vilipendio di cadavere da 5 sentenze, le ultime ormai definitive - esca di carcere con un permesso premio e al primo microfono che gli passa sotto il naso possa liberamente offendere la memoria della moglie Melania, rinnovare il dolore dei parenti e farsi beffa di ogni evidenza processuale? Basta rileggersi le dichiarazioni rese ai microfoni di “Chi l’ha visto?” il 2 luglio, fuori dal carcere milanese di Bollate, per capire che quella domanda (è giusto così?) non ha certo una “prospettiva vittimologica”, e meno che mai “strumentalizza le persone offese”. Ecco a voi, in modo che vi possiate fare un’idea, la sintesi del Parolisi-pensiero: «Dodici ore di m... dopo 12 anni», si lamenta della troppa attesa di un permesso. «Ho tradito Melania, ma non l’ho uccisa... con Ludovica era solo una scappatella», banalizza il suo rapporto con moglie e amante, il triangolo che invece, secondo le sentenze, innescò la sua furia omicida. «Non avrei mai lasciato Melania...
*Caporedattore del Corriere Adriatico