Marche, troppi gli inattivi È il problema del lavoro

Marche, troppi gli inattivi
È il problema del lavoro

di Donato Iacobucci
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Mercoledì 22 Novembre 2023, 06:25

Diversi articoli pubblicati su questo giornale nelle ultime settimane hanno messo in evidenza la crescente difficoltà delle imprese nel trovare lavoratori. L’ultima indagine Excelsior, condotta periodicamente dalle camere di commercio per rilevare i fabbisogni professionali delle imprese, ha evidenziato che metà delle imprese prevede difficoltà nel trovare lavoratori da assumere. Il problema non è limitato alla regione. Una recente indagine Censis-Confcooperative ha stimato per il 2023 un deficit di offerta di lavoro rispetto alla domanda di 316mila lavoratori. L’impatto economico della mancata copertura di queste posizioni è stimato in quasi 28 miliardi di euro: l’1,5% del PIL. Non si tratta di un fenomeno congiunturale, destinato a risolversi nei prossimi anni. Come hanno sottolineato alcuni degli imprenditori intervistati dal Corriere Adriatico, siamo davanti a cambiamenti strutturali nel mercato del lavoro, destinati a durare e accentuarsi nei prossimi anni. Il gap fra domanda e offerta di lavoro è destinato a diventare permanente e a rovesciare i termini del confronto fra imprese e dipendenti. Trovare lavoratori sarà sempre più difficile, così come diventerà più difficile trattenerli. Sempre secondo l’indagine Censis-Confcooperative un terzo degli occupati a tempo indeterminato intende cambiare lavoro per guadagnare di più ed un altro terzo si dice insoddisfatto del lavoro rispetto alle competenze possedute. Ciò spiega l’elevato e crescente numero di licenziamenti volontari: oltre un milione di dipendenti nel 2022. Di questi circa 700mila (più dei due terzi) si sono ricollocati nel giro di tre mesi. La gestione delle risorse umane è diventata per tutte le imprese, piccole o grandi che siano, una funzione assolutamente strategica. E che dovrà essere svolta in modo sempre più professionale, piuttosto che affidata all’intuito, al buon senso o al paternalismo. In ogni caso, anche se le imprese miglioreranno nella capacità di attrarre e ritenere lavoratori, questo non risolverà il problema del gap fra domanda e offerta. La situazione sembra paradossale. Non tanto per il tasso di disoccupazione, che comunque rimane elevato, quanto per il fatto che l’Italia è fra i paesi europei con il più alto tasso di inattività: cioè con la più alta percentuale di persone in età da lavoro che non partecipano al mercato del lavoro e che pertanto non figurano fra i disoccupati, cioè coloro che pur cercando un lavoro non riescono a trovarlo.

Il mismatch fra domanda e offerta in termini di qualifiche e professionalità riguarda i disoccupati. Ma il vero problema del mercato del lavoro nel nostro paese è l’elevata quota di persone inattive, cioè le persone in età da lavoro che non cercano lavoro. Nel 2022 il tasso di inattività in Italia era del 34,5%; nelle Marche appena più basso, il 28,6%. All’interno degli inattivi la componente più problematica è quella dei Neet (Not in Employment, Education or Training), cioè dei giovani che non lavorano, non studiano e non sono coinvolti in attività di formazione professionale. La quota dei Neet rappresenta nel nostro paese un quarto dei giovani fra i 15 e i 29 anni, mentre è meno del 10% nei paesi del nord Europa. Oltre all’elevata quota di Neet l’altro problema strutturale del nostro paese è la bassa partecipazione delle donne al mercato del lavoro; un problema che è particolarmente rilevante nelle regioni meridionali. Ridurre il tasso di inattività dovrebbe essere una delle principali priorità per il nostro paese, considerato che la crisi demografica determinerà una continua contrazione delle persone in età da lavoro nei prossimi decenni. Occorre agire con decisione dal lato dell’offerta: promuovendo le attività di formazione professionale per gli adulti; migliorando i servizi di orientamento e combattendo l’abbandono dai percorsi di formazione per i più giovani. Il problema del gap fra domanda e offerta non è però solo un problema di offerta; dipende anche dalla domanda, in termini di qualità del lavoro e di livelli retributivi. Nel pubblico e nel privato occorre premiare maggiormente competenza e merito, poiché questo incentiva l’investimento nella formazione e la partecipazione al mercato del lavoro.

* Docente di Economia all’Università Politecnica delle Marche e coordinatore della Fondazione Merloni

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