Diversi articoli pubblicati su questo giornale nelle ultime settimane hanno messo in evidenza la crescente difficoltà delle imprese nel trovare lavoratori. L’ultima indagine Excelsior, condotta periodicamente dalle camere di commercio per rilevare i fabbisogni professionali delle imprese, ha evidenziato che metà delle imprese prevede difficoltà nel trovare lavoratori da assumere. Il problema non è limitato alla regione. Una recente indagine Censis-Confcooperative ha stimato per il 2023 un deficit di offerta di lavoro rispetto alla domanda di 316mila lavoratori. L’impatto economico della mancata copertura di queste posizioni è stimato in quasi 28 miliardi di euro: l’1,5% del PIL. Non si tratta di un fenomeno congiunturale, destinato a risolversi nei prossimi anni. Come hanno sottolineato alcuni degli imprenditori intervistati dal Corriere Adriatico, siamo davanti a cambiamenti strutturali nel mercato del lavoro, destinati a durare e accentuarsi nei prossimi anni. Il gap fra domanda e offerta di lavoro è destinato a diventare permanente e a rovesciare i termini del confronto fra imprese e dipendenti. Trovare lavoratori sarà sempre più difficile, così come diventerà più difficile trattenerli. Sempre secondo l’indagine Censis-Confcooperative un terzo degli occupati a tempo indeterminato intende cambiare lavoro per guadagnare di più ed un altro terzo si dice insoddisfatto del lavoro rispetto alle competenze possedute. Ciò spiega l’elevato e crescente numero di licenziamenti volontari: oltre un milione di dipendenti nel 2022. Di questi circa 700mila (più dei due terzi) si sono ricollocati nel giro di tre mesi. La gestione delle risorse umane è diventata per tutte le imprese, piccole o grandi che siano, una funzione assolutamente strategica. E che dovrà essere svolta in modo sempre più professionale, piuttosto che affidata all’intuito, al buon senso o al paternalismo. In ogni caso, anche se le imprese miglioreranno nella capacità di attrarre e ritenere lavoratori, questo non risolverà il problema del gap fra domanda e offerta. La situazione sembra paradossale. Non tanto per il tasso di disoccupazione, che comunque rimane elevato, quanto per il fatto che l’Italia è fra i paesi europei con il più alto tasso di inattività: cioè con la più alta percentuale di persone in età da lavoro che non partecipano al mercato del lavoro e che pertanto non figurano fra i disoccupati, cioè coloro che pur cercando un lavoro non riescono a trovarlo.
* Docente di Economia all’Università Politecnica delle Marche e coordinatore della Fondazione Merloni