Immaginare e rischiare È qui il futuro del cinema

Immaginare e rischiare
È qui il futuro del cinema

di Giovanni Guidi Buffarini
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Venerdì 3 Novembre 2023, 07:59

Contrordine. Nel giro di una settimana, il ministro Sangiuliano ha dapprima annunciato un megataglio (100 milioni, a fronte dei 35 richiesti espressamente dal ministro dell’Economia Giorgetti) dei fondi destinati al cinema, quindi se lo è rimangiato quasi per intero. E il cinema ha smesso di essere una “mangiatoia” (parola del ministro) per tornare a essere quel che è: la più importante industria culturale del Paese. Salutato con favore il dietrofront ministeriale, vediamo di completare il discorso cominciato la settimana scorsa circa i modi più opportuni di impiegare le risorse pubbliche. In sintesi, come detto l’altra volta: finanziare meno (titoli), finanziare meglio. Sul sovvenzionare meno produzioni non so se Ministro & Co. siano d’accordo, fino a poche settimane fa sembrava, ahimè, di no, sarebbe bello ci ripensassero: si tratterebbe di limitare se non proprio evitare il magna magna (che c’è sempre, quando di mezzo ci stanno i soldi pubblici, e però definire mangiatoia l’intero mondocinema non va bene). Sul meglio poi bisogna intendersi. Da mesi, Sangiuliano e i suoi più stretti collaboratori lamentano i cattivi risultati al botteghino dei film italiani. Che siano deludenti, non ci piove. Prima della pandemia, la quota di mercato delle nostre produzioni ammontava a circa il 30%. Ora la torta è un po’ più piccola (ottobre è andato piuttosto male, sarebbe tempo di archiviare gli entusiasmi estivi) mentre la quota di mercato dei film italici gravita attorno al 20%. La ricetta prospettata in alto loco per invertire la tendenza: incoraggiare, concentrando lì i pubblici quattrini disponibili, la realizzazione di opere orientate al grande pubblico. Che sia la strada giusta, dubito. Punto primo. Manco i mogul di Hollywood, con tutte le sofisticatissime ricerche di mercato che commissionano, riescono con certezza a stabilire se un film avrà successo oppure no. Ogni stagione c’è un bel numero di successi annunciati che floppano alla grandissima. E di film su cui nessuno avrebbe scommesso un cent e invece sbigliettano bene. Il pubblico è imprevedibile, cambia gusti repentinamente. Punto secondo. Non è affatto vero che oggi si producano pochi film destinati al grande pubblico.

Commedie, al 90+%. È che quasi tutte sono brutte che fatichi ad arrivare in fondo. Derivative, sciatte, lente. Nate vecchie nate morte. Abbiamo dunque un problema di qualità non di quantità. E abbiamo un problema di varietà dell’offerta. Cinema popolare negli altri Paesi significa anche thriller, horror, animazione, film per adolescenti. Tutti generi che in Italia da gran tempo pratichiamo pochissimo (e pure male, vedi sopra, stessi difetti: e gli spettatori si tengono a debita distanza). E allora, l’obiettivo ministeriale dovrebbe essere un altro. Non il sostegno a progetti costruiti a tavolino per ottenere successo - che poi magari il pubblico te lo rovescia, il tavolino - bensì il sostegno ai giovani, e anche meno giovani, talenti e alle loro idee. Se c’è una cosa che mi manda ai pazzi (ce n’è parecchie, vabbè) è la capacità del nostro cinema di sfornare tanti brutti film pur non essendo affatto privo di talenti. Perché il nostro cinema i suoi talenti li strangola. Fai un’opera prima apprezzata nei festival e ben recensita e però non premiata al box-office? Farai una fatica boia a ottenere il budget per l’opera seconda, ammesso che ci riesca. Più probabilmente, dovrai mettere da parte il tuo cinema e campare la vita realizzando mediocri commediole fatte con lo stampino, mediocri serie fatte con lo stampino e qualche spot pubblicitario. Un Ministero della Cultura ha senso solo e soltanto se aiuta i talenti a svilupparsi. Tanto più che, forse non lo sapete, il sistema cinema, a ogni latitudine, non sta in piedi perché tanti film riportano subito i soldi a casa, ma perché prima o poi arriva “Barbie” e ripiana le perdite di altri titoli. O “Perfetti sconosciuti”, per rimanere in ambito italiano e citare uno dei rarissimi titoli che, dopo avere riempito le nostre sale, è stato venduto in mezzo mondo, ne sono stati tratti non so quanti remake. Il cinema italiano deve ricominciare a rischiare, a immaginare. È questa l’unica strada per la ripresa. Rimasticare non paga.

* Opinionista e critico cinematografico

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