Sosteniamo pure le piccole imprese senza trascurare le più complesse

Sosteniamo pure le piccole imprese
senza trascurare le più complesse

di Donato Iacobucci
4 Minuti di Lettura
Mercoledì 15 Novembre 2023, 05:20

Nel numero di venerdì scorso il Corriere Adriatico ha dato ampio risalto alla presentazione della Classifica delle principali imprese marchigiane redatta dalla Fondazione Aristide Merloni in collaborazione con l’Università Politecnica delle Marche. La Classifica prende in considerazione le prime 500 imprese della regione per valore delle vendite. E’ un numero esiguo rispetto al totale delle imprese regionali. Nelle Marche sono attive circa 140.000 imprese, per cui quelle considerate nella Classifica sono lo 0,4% del totale. Occorre però considerare che la distribuzione degli addetti e della produzione è molto concentrata per cui le principali imprese, seppure esigue come numero, hanno un peso considerevole sui principali aggregati economici. Se consideriamo le imprese manifatturiere, cui la Classifica dedica specifica attenzione, il peso sul totale degli occupati è di oltre un terzo e quello sul valore aggiunto si avvicina al 50%.

Anche a livello italiano le imprese con più di 50 addetti sono solo lo 0,7% del totale ma rappresentano oltre un terzo dell’occupazione e oltre la metà del valore aggiunto (cioè il PIL). La differenza di peso fra addetti e valore aggiunto evidenzia un altro aspetto importante: il fatto che le imprese più grandi hanno una produttività più elevata rispetto alle piccole. Si tratta di un divario considerevole. Il valore aggiunto per addetto nelle micro-imprese (quelle con meno di 10 addetti) è di circa 30.000 euro; in quelle grandi (con più di 250 addetti) supera i 70.000 euro; più del doppio. Le differenze di produttività sono ancora più marcate nell’industria: 35.000 euro nelle micro-imprese e oltre 100.000 euro nelle grandi. Non sono differenze di poco conto se consideriamo che dalla produttività dipendono le retribuzioni dei dipendenti e i contributi necessari ad assicurare la previdenza e i servizi pubblici. Le differenze di produttività dipendono dalla diversa capacità delle imprese di adottare modelli organizzativi complessi e tecnologie avanzate. Le differenze fra piccole e grandi imprese si sono accentuate negli ultimi anni per l’importanza assunta dagli investimenti in ricerca e sviluppo e dall’internazionalizzazione; aspetti nei quali la dimensione conta.

Se consideriamo la proiezione internazionale, delle 140.000 imprese presenti nella regione poco più di 6.000 (meno del 5%) esportano i propri prodotti.

Nella media italiana il 50% dell’export è fatto dalle grandi imprese e la quota sale all’80% se consideriamo anche le medie. E’ vero che molte piccole imprese partecipano come sub-fornitrici ai prodotti esportati, ma non è dalle piccole imprese che dipende la capacità di penetrazione nei mercati esteri. L’elevato numero di micro e piccole imprese non è una peculiarità italiana. In tutti i paesi industriali le piccole imprese costituiscono la quasi totalità delle imprese. Le differenze emergono quando si considerano le caratteristiche e il peso della parte restante, cioè delle imprese medie e grandi che, come abbiamo visto, sono marginali come numero ma contano molto per la competitività del sistema. In Italia la quota di occupati nelle medie e grandi imprese si ferma al 35% mentre è oltre il 50% in Francia e quasi il 60% in Germania.

Nelle Marche il peso dell’occupazione nelle grandi imprese è ancora più basso della media italiana. Questa differenza è alla base del divario di produttività dell’Italia rispetto agli altri paesi industrializzati e spiega molte delle difficoltà manifestate dal sistema produttivo italiano e regionale nell’ultimo decennio. Ben venga quindi il sostegno alle piccole imprese ma per premiare quelle che vogliono crescere e innovare, non per far sopravvivere imprese marginali e poco produttive. In ogni caso, l’attenzione alle piccole imprese non dovrebbe distrarci da quella verso le grandi, pubbliche o private che siano. Su questo fronte gli altri paesi, a cominciare da Francia e Germania, sono molto più attenti ed efficaci. La posta in gioco è alta poiché se l’Italia non sarà in grado di recuperare il divario di produttività accumulato negli ultimi decenni si ridurrà in modo significativo la capacità di assicurare retribuzioni adeguate e servizi pubblici ai propri cittadini.

*Docente di Economia all’Università Politecnica delle Marche e coordinatore della Fondazione Merloni 

© RIPRODUZIONE RISERVATA