L’impresa formato famiglia è meno propensa alla crescita

L’impresa formato famiglia
è meno propensa alla crescita

di Donato Iacobucci
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Mercoledì 27 Settembre 2023, 06:00

Un recente articolo pubblicato sull’Italian Economic Journal ha risollevato la questione della governance familiare delle imprese italiane. L’articolo parte dalla constatazione che la produttività delle imprese italiane, a parità di settore e dimensione, differisce in modo significativo fra il nord e il sud del paese. A questo contribuiscono fattori di contesto, ma anche fattori soggettivi associati ai modelli organizzativi e di governance delle imprese. Fra gli aspetti che differenziano le imprese italiane passando dal nord al sud vi è proprio la crescente presenza di imprese familiari. Il carattere familiare delle imprese può essere definito considerando diversi aspetti: la proprietà, cioè il possesso di quote o azioni; il controllo, cioè la presenza dei membri delle famiglie proprietarie nei consigli di amministrazione; il management, cioè la presenza dei membri delle famiglie proprietarie nei ruoli gestionali. L’articolo dimostra l’esistenza di una relazione negativa fra prevalenze delle imprese familiari e produttività. A determinare questa relazione negativa non è però la prevalenza della proprietà familiare quanto la maggiore percentuale di imprese nelle quali i membri della famiglia occupano ruoli manageriali. Non è quindi la proprietà familiare di per sé a costituire un problema ma il fatto che i membri delle famiglie che detengono la maggioranza delle quote o delle azioni tendono ad assumere anche ruoli di responsabilità nella gestione. Quest’ultimo aspetto caratterizza non solo le imprese del mezzogiorno ma l’intero territorio nazionale. In realtà, la prevalenza della proprietà familiare è comune a tutti i paesi ad economia di mercato. L’alternativa alla proprietà familiare sono le imprese di proprietà dello stato o le public company. Le prime possono essere controllate dallo stato centrale (come Leonardo) o dagli enti locali (come le società municipalizzate). Le public company sono società quotate in borsa con un azionariato talmente diffuso da non consentire l’individuazione di un azionista di maggioranza. Sono praticamente assenti nel nostro paese mentre hanno una presenza significativa negli Usa e negli altri paesi capitalistici. Per quanto importanti dal punto di vista degli occupati e delle vendite, stiamo comunque parlando di poche grandi imprese. Per il resto anche in questi paesi la grande maggioranza delle imprese è a proprietà familiare. Le differenze fra l’Italia e gli altri paesi emergono quando dalla proprietà si passa a considerare la presenza dei membri delle famiglie nei ruoli di controllo e di gestione. Qui le cose sono completamente diverse. L’anomalia italiana (se così possiamo definirla) sta nella prevalenza di imprese «integralmente familiari», cioè imprese nelle quali i membri di una famiglia sono presenti nella proprietà, negli organi di controllo (consiglio di amministrazione) e nelle principali funzioni manageriali. Questo si riscontra non solo nelle imprese di piccola dimensione ma anche in quelle di media e grande dimensione. Nelle imprese fra 50 e 250 dipendenti, meno del 10% ha manager esterni, non appartenenti alla famiglia controllante. In quelle oltre i 250 dipendenti la percentuale è più alta ma comunque inferiore al 20%. Anche in queste imprese prevale quindi il modello di governance “integralmente familiare”. A queste imprese si possono riconoscere diversi meriti ma presentano anche diversi problemi: sono meno propense alla crescita; più avverse al rischio (hanno cioè minore propensione ad investire nella R&S e nell’internazionalizzazione); sono meno capaci di reclutare e valorizzare manager competenti. Quest’ultimo aspetto è particolarmente rilevante e spiega da una parte la difficoltà delle imprese a reclutare capitale umano qualificato, dall’altro il crescente flusso di giovani con elevati livelli di scolarizzazione che abbandona il nostro paese. E’ un problema che riguarda da vicino le imprese regionali, che da questo punto di vista assomigliano più a quelle meridionali che non a quelle del settentrione. Cambiare i modelli organizzativi e di governance delle imprese sarà la sfida fondamentale per il sistema produttivo nei prossimi anni; prima ancora di quella tecnologica.

* Docente di Economia all’Università Politecnica delle Marche e coordinatore della Fondazione Merloni

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