Nelle giornate di ieri e oggi si sta svolgendo, presso la Facoltà di Economia “Giorgio Fuà” di Ancona, un convegno sullo stato dell’industria italiana. Il convegno, organizzato dalla Società Italiana di Economia e Politica Industriale, nasce all’interno di una più generale iniziativa di riflessione sulla situazione e sulle prospettive dell’economia italiana. Come ho più volte sottolineato, l’industria, ed in particolare l’industria manifatturiera rimane un settore centrale per l’economia; vale per l’Italia nel suo complesso e vale per la nostra regione. È vero che nei paesi avanzati il terziario (cioè i servizi) supera l’industria per occupazione e PIL.
Attualmente la quota sul PIL dell’industria è intorno al 25%, quella del primario (agricoltura e estrazione) è circa il 2% e il restante 73% è prodotto dai diversi comparti del terziario, pubblico e privato. Malgrado l’industria pesi solo un quarto del Pil, il suo ruolo nel sistema economico è strategico. L’industria è il settore dell’economia maggiormente esposto alla concorrenza internazionale e per questo il suo stato è una cartina al tornasole della capacità competitiva dell’intero sistema produttivo.
Non è un caso che quasi l’80% della spesa in ricerca e sviluppo privata è finanziata dalle imprese manifatturiere, poiché sono quelle con la maggiore pressione all’efficienza e all’innovazione. Una pressione che trasmettono a tutta l’economia. Va anche ricordato che le produzioni manifatturiere hanno un effetto di induzione in molti settori dei servizi, in particolare quelli più avanzati: servizi finanziari, trasporti e comunicazione, ricerca e sviluppo, ecc. L’integrazione fra prodotti manufatti e servizi sta accelerando con la transizione digitale ed ecologica.
E’ il fenomeno della servitization cioè della progressiva commistione fra prodotti e servizi; pensiamo a tutte le volte in cui utilizziamo una app associata ad un prodotto. La servitization non riduce la rilevanza dell’industria ma anzi la accentuata poiché dalla capacità competitiva dell’industria dipende anche una parte sempre più consistente dei servizi ed in particolare dei servizi a più alto valore aggiunto.
Nei primi vent’anni di questo secolo il sistema delle imprese industriali del nostro paese ha sperimentato una situazione di crescente difficoltà.
E’ forse a seguito di questo quadro che l’ultimo rapporto del Censis sullo stato dal paese fotografa una situazione di preoccupazione e scoraggiamento da parte degli italiani verso il futuro. Malgrado il fatto che la ripresa post-pandemia sia stata più rapida e consistente di quanto atteso. Evidentemente, nello stato d’animo degli italiani sembra prevalere la considerazione delle debolezze strutturali sopra richiamate, a cui si aggiungono ulteriori elementi di preoccupazione: dall’elevato debito pubblico alle previsioni di riduzione e invecchiamento della popolazione.
Se questa situazione di scoraggiamento e di mancanza di prospettive dovesse permanere sarebbe ancora peggiore dei dati. Ciò che conta per le prospettive di sviluppo non è infatti il punto di partenza ma la direzione e il punto di arrivo. L’Italia, e il suo sistema industriale, hanno le risorse e le capacità per invertire la tendenza degli ultimi decenni. A condizione di riuscire a convogliare capacità e risorse su obiettivi condivisi. Il Pnrr è una buona occasione in questo senso. Il piano sarà efficace non solo se riusciremo a spendere in tempo le risorse ma se ci lascerà delle linee di azione di lungo periodo sulle quali continuare a far convergere consenso e risorse.
* Docente di Economia all’Università Politecnica delle Marche e coordinatore della Fondazione Merloni