Sconcerto e dolore sono le prime emozioni per la tragedia senza precedenti che si è abbattuta in questi giorni sulle Marche. L’inaspettato e violentissimo nubifragio ha portato un pesante fardello di sofferenza e di lutti, assieme alle storie commoventi e strazianti di quelli che si sono salvati, ma anche di coloro che purtroppo non ce l’hanno fatta. Dinanzi alla disperazione che abbiamo visto nei volti della gente e al dolore di chi non potrà più riabbracciare i propri cari, prima di tutto, bisogna fermarsi, restando in silenzio e preghiera e testimoniando solidarietà, vicinanza e raccoglimento.
Ma poi, nei prossimi giorni, le tante, troppe vite spezzate e le devastazioni subite richiedono di intervenire in modo deciso e radicale nel nostro territorio affinché eventi di questo genere possano essere scongiurati o quanto meno mitigati nel prossimo futuro. Distruzione e morte non possono mai avere l’ultima parola. E allora i mesi a venire dovranno divenire i mesi dell’operosità e delle responsabilità condivise, fuori e dentro le istituzioni preposte a vigilare su queste situazioni, senza polemiche e senza inerzie. La nostra regione è in grado di unirsi con tenacia nei momenti più drammatici ben sapendo che ogni gesto a favore del prossimo è fonte di arricchimento reciproco.
«Faremo tutto il possibile, tutto quello che è necessario», ha affermato il presidente Mario Draghi esprimendo la vicinanza del Governo alle famiglie colpite dall’emergenza e stanziando 5 milioni di euro per i primi interventi. Mentre i sentimenti di tristezza si mescolano alle preoccupazioni per quello che verrà, non si può negare che, in questi ultimi anni, stiamo sempre più assistendo a eventi climatici estremi, quali trombe d’aria, prolungate siccità, maxi grandinate, occorrenze inusuali per il clima temperato del Mediterraneo. Non solo: grandi cataclismi di origine naturale ormai sono frequenti in tutto il globo. È chiaro che gli effetti di tali calamità sono aggravati da mancanze di cura dell’ambiente da parte dell’umanità, come se la natura si ribellasse alla nostra indolenza e maltrattamenti. L’uomo, troppo spesso, si sente padrone assoluto di tutto ciò che lo circonda, e non rispetta niente e nessuno.
Il Pontefice, durante l’incontro con la Pontificia Accademia delle Scienze del 13 luglio scorso, ha indicato, in particolare, una strada per prendersi cura della Casa comune: quella della «conversione ecologica» – sulla scia di san Giovanni Paolo II come risposta alla catastrofe ecologica preannunciata da san Paolo VI già nel 1970 - che richiede un cambiamento di mentalità. Una conversione che implica in primis un senso di gratitudine per il dono amorevole e generoso della creazione da parte di Dio e richiede di riconoscere che siamo uniti «in una comunione universale» tra di noi e con il resto delle creature del mondo affrontando «i problemi ambientali non come individui isolati, ma in solidarietà come comunità». Il creato ci è stato donato non per essere sfruttato, ma per essere preservato e allo stesso tempo valorizzato dall’ingegno umano senza dimenticare i fragili equilibri che legano ogni creatura vivente al Pianeta. Per risolvere gli attuali problemi è fondamentale compiere scelte coraggiose e di ampio respiro a livello locale e internazionale fornendo assistenza economica e tecnologica. Custodire il creato vuol dire anche vivere personalmente la responsabilità di rendere sempre più armoniosa la creazione attraverso la gratuità e il servizio nei confronti di ogni individuo.
* Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII