Pnrr, le riforme sono più importanti delle spese

Pnrr, le riforme sono più importanti delle spese

di Donato Iacobucci
4 Minuti di Lettura
Mercoledì 27 Dicembre 2023, 01:30

Arrivati a fine dicembre si può tentare un consuntivo per l’anno che si sta chiudendo e gettare uno sguardo alle prospettive. Da un punto di vista macroeconomico il 2023 è stata caratterizzato da un progressivo rallentamento della crescita, dopo la robusta ripresa del 2021 e del 2022. Ad un primo trimestre ancora positivo (+0,6%) il secondo è risultato negativo (-0,4%) e il terzo si è mantenuto sui livelli dell’anno precedente (+0,1%). Secondo le stime contenute nell’ultima Nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza, il governo prevede di chiudere il 2023 con una crescita di +0,8% ma le stime più recenti la rivedono al ribasso, intorno a +0,7%.

Questi valori fanno riferimento al PIL in termini reali, cioè al netto dell’inflazione che nel 2023 ha mostrato segni di rallentamento ma che rimane elevata, intorno al 5%. Si tratta di un valore superiore al target di crescita dei prezzi fissato dalla BCE (+2%) e per questo il Consiglio Direttivo della BCE nell’ultima riunione dello scorso 14 dicembre ha deciso di mantenere invariati i tassi di interesse per le operazioni di rifinanziamento, che oscillano al momento fra il 4% e il 4,75%. L’inflazione è prevista in sensibile riduzione nel 2024 per poi avvicinarsi all’obiettivo del 2% nel 2025. La riduzione dei tassi di interesse da parte della BCE sarà quindi graduale nei prossimi anni. In termini reali il PIL italiano è previsto in crescita dell’1,2% nel 2024 e dell’1,4% nel 2025. Se collochiamo l’andamento dell’economia italiana nel quadro internazionale i segnali sono contrastanti. Nel 2023, al pari del 2022, l’Italia è cresciuta a tassi superiori a quelli dell’area Euro, più di Germania e Francia. A questo risultato hanno contribuito le politiche espansive rese possibili dal venir meno dei vincoli alla finanza pubblica e le risorse messe a disposizione dalla UE per contrastare gli effetti della pandemia. Il recente compromesso raggiunto in sede UE sul patto di stabilità ci ricorda che nei prossimi anni i vincoli di finanza pubblica torneranno ad essere più stringenti.

Abbiamo, però, altri tre anni per utilizzare le risorse del Pnrr.

I timori relativi all’incapacità di spendere le risorse a disposizione sembrano per il momento rientrati poiché gli obiettivi di spesa continuano ad essere in buona parte centrati. La preoccupazione per l’utilizzo delle risorse finanziarie rischia di far passare in secondo piano il fatto che una parte fondamentale del Pnrr sono le riforme che accompagnano la spesa. Si tratta di ben 63 piani di riforma: da quelle orizzontali, relative all’efficienza della pubblica amministrazione e della giustizia; a quelle abilitanti, come la concorrenza e la semplificazione normativa; fino a quelle di settore che toccano numerosi ambiti, fra i quali quelli della formazione e del lavoro. Il Pnrr è stato concepito e varato in un momento di grande difficoltà per il nostro paese (nel 2020 il PIL era calato del 9%). Lo scopo era, però, ben più ambizioso del sostegno alla ripresa post-pandemia. Il Pnrr dovrebbe essere l’occasione per rimuovere gli ostacoli che hanno bloccato la crescita italiana negli ultimi decenni, al fine di tornare su un sentiero di crescita almeno simile a quello dei partner dell’area Euro.

A questo scopo le riforme sono più importanti della spesa. I problemi strutturali che hanno determinato la bassa crescita degli ultimi decenni sono ancora in piedi e le riforme più incisive previste nel Pnrr sono ancora da attuare. I buoni risultati conseguiti negli ultimi anni, superiori alle aspettative, rischiano di farci ridurre l’attenzione alla necessità di insistere nelle riforme e nel cambiamento. Per fortuna il Pnrr fissa obiettivi non solo in termini procedurali (approvazione di leggi e regolamenti) ma in termini di target quantitativi da raggiungere: dalla durata dei processi al numero di nuovi alloggi per gli studenti universitari. C’è da augurarsi che a questo cambio di metodo corrisponda anche un’effettiva capacità di conseguire i risultati. Le resistenze al cambiamento non mancano e i prossimi anni saranno decisivi per capire se ci limiteremo al rispetto formale degli impegni o saremo capaci di tradurli in impatti effettivi e duraturi.

*Docente di Economia all’Università Politecnica
delle Marche e coordinatore della Fondazione Merloni

© RIPRODUZIONE RISERVATA