Il banchetto visivo no-limits da Eriksen fino al Mottarone

Il banchetto visivo no-limits da Eriksen fino al Mottarone

di Rossano Buccioni
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Martedì 22 Giugno 2021, 05:25

Le immagini televisive del malore di Christian Eriksen e quelle dello sganciamento della cabina sulla funivia Stresa-Mottarone, ripropongono alcune domande relative all’enorme vantaggio che l’osservatore esterno a determinate condizioni emergenziali si vede attribuire. Il Web sembra un enorme porto franco della civiltà dell’immagine, una specie di paradiso visuale della società della comunicazione, dove diventa lecito sperimentare ogni variante altamente virale della deviazione voyeristica.

Se l’improvviso ritiro delle competenze atletiche costringe a ricomprendere la vita dello sportivo di successo in una sfera emotiva diversa da quella della passione agonistica, le immagini della funivia ci lasciano turbati “davanti al dolore degli altri” (Susan Sontag), con un vantaggio psichico non richiesto assai difficile da gestire. Il “perturbante normalizzato” dal consumo di immagini cruente fa si che lo spettatore, isolato dai mezzi di fruizione in una bolla personalizzata, acceda alle istantanee eternizzate di una tragedia seguendo le logiche del mercato esperienziale. Nel caso di Stresa si è trattato di immagini ad orologeria, che avendo nelle aule giudiziarie il loro ovvio luogo di utilizzo, si sono palesate nella veste inopinata di riesumazione mediatica di un tragico evento che, negando assurdamente la vita a persone inermi, continua ad accanirsi contro la dignità della loro memoria, come se non “fossero morte abbastanza”.

Il filosofo Remo Bodei scompose la celebre metafora del “naufragio con spettatore” (Hans Blumemberg) in una serie di spazi logici di tipo oppositivo, connotati da un diverso livello di distanziamento e di coinvolgimento: spettatore/attore; sicurezza/rischio; estraneità /coinvolgimento. Il pericolo e le strategie per contenerlo, sono componenti essenziali dell’esperienza umana, perennemente esposta al fallimento, (nostro o altrui) nei confronti del quale replichiamo dualismi rappresentativi, oscillanti tra anestesia del sentimento o partecipazione commossa, immedesimazione piena o subitanea dissociazione evitante. La tragedia definisce un ambito logico-metaforico (che i semiologi definirebbero patemico) in cui è possibile dividere in due dimensioni speculari il rapporto agire/esperire dei testimoni. Un vertice del volersi tenere a debita distanza da esiti tragici è espresso da Montaigne che fa della “volupté maligne” dello spettatore, una provvidenziale modalità di acconciarsi alla scarsissima attitudine al rischio personale. Pascal rovescerà questa posizione, sostenendo col suo “vous ètes embarqué”, la nostra impossibilità di chiamarci fuori dallo spettacolo devastante di ogni naufragio, consentendoci di rifiutare il vantaggio su cui la contingenza getta la sorte.

La vita costringe l’essere umano a percepirsi sempre in una situazione di rischio-naufragio, solo che al mare del Dio Poseidone (le cui onde sembravano accarezzare il corpo esanime del piccolo AylanKurdi quasi a gridare nuovamente che “il terribile fosse già accaduto”), oggi si sostituisce il mare della civiltà visuale, non-luogo mentale dove si “naviga tra le notizie” ed in cui annaspa il tragico, nuovo milite ignoto della società iper-differenziata.

Dunque, mentre “Noi voghiamo in un vasto mare, sospinti da un estremo all’altro ed ogni termine al quale pensiamo di fissarci vacilla e ci lascia” (Pascal), specialmente nei provvisori appigli della civiltà dell’immagine, quale nova metafora del naufragio andiamo inconsapevolmente sperimentando? Il Garante per la Privacy ha invitato a non diffondere altre immagini relative all’incidente di Stresa, con un’avvertenza che esorta a tenersi fuori dal profluvio di immagini cruente che riempiono la rete, seguendo le logiche di una predazione visuale della realtà. La filosofa Susan Sontag, nel volume prima citato, affronta la questione della gestione pubblica e privata di immagini in cui le persone non riescono a sottrarsi ad una sorte tentacolare, trasformando la morte in una spettacolarizzazione dell’umana fragilità. Intuendo la potenza incontrollabile dell’immagine, Sontag scrisse che “le fotografie ibridavano due qualità contrapposte: un indubbio carattere di oggettività ed il mantenimento di un punto di vista personalissimo.

La registrazione della realtà che fornivano mostrava immediatamente un vantaggio sul resoconto verbale: la capacità di cogliere l’istantaneo del momento (…) dato che la cattura della realtà era effettuata da una macchina”. Se la fotografia trascriveva, l’immagine digitalizzata eternizza l’evento celebrandone la presentificazione a misura dell’attivazione tecnica del meccanismo di replica. L’effetto distorsivo consiste nello svuotamento della dimensione temporale di costruzione del senso, privando la visione di ogni soggettività presupposta nell’immagine. L’effetto intollerabile è questa convocazione involontaria al banchetto visuale, servita gratuitamente alla pubblica incapacità di giovarsi del dramma, per munire di pazienza il cordoglio e di tenacia la memoria di chi ha perso un amico o un familiare.

L’improvviso, quanto osceno, vantaggio fornito allo spettatore si consuma in un’atmosfera di crudeltà inutilmente rinvigorita che, invece di creare le condizioni per far corrispondere un certo incremento di sicurezza all’obbligatorietà del procedimento giudiziario, scardina la scansione temporale dell’evento, determinando un perenne ricominciamento, funzionale alle voglie della pigrizia appetitosa degli sguardi. La suburra dei commenti è il solito contorno al complesso di superiorità tecnologico che percuote l’evento negandolo a quella dimensione temporale privata necessaria ad una elaborazione della perdita degna dell’umanità che vi si esprime.

* Sociologo della devianza e del mutamento sociale

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