Incubatori e acceleratori, tutti attenti alle start-up

Incubatori e acceleratori, tutti attenti alle start-up

di Michele Germani
4 Minuti di Lettura
Lunedì 15 Aprile 2024, 05:10

Oggi è un argomento di grande interesse quello degli Incubatori ed Acceleratori di start-up. Anche nella Regione Marche, grazie ad un recente bando, ancora aperto peraltro, dedicato al finanziamento di queste iniziative, si sta nuovamente parlando di questo tipo di organizzazioni. Quindi può essere utile capire meglio cosa sono, le dimensioni del fenomeno, a livello internazionale e nazionale, e riflettere su alcuni punti chiave utili per il loro sviluppo. Innanzitutto, capiamo che cosa fanno queste due tipologie di strutture. Gli incubatori hanno una lunga storia, negli Usa, a New York, già negli anni ’60 si parlava di “business incubators”. Si tratta principalmente di spazi di lavoro fisici (oggi anche virtuali), con l’aggiunta di alcune strutture condivise e servizi di supporto alle imprese incubate, come tutoraggio, formazione e accesso agli investitori.

Gli incubatori in genere forniscono i propri servizi a condizioni diverse in base all’impresa “cliente”, sia in termini di tipo di servizio che di tempi di incubazione. La maggior parte di essi sono autofinanziati attraverso le quote associative, ma spesso sono anche sovvenzionati da università o da finanziamenti pubblici. Gli acceleratori sono un fenomeno più recente e le loro origini vengono spesso fatte risalire al programma statunitense Y Combinator (Y Comb), istituito nel 2005 e ancora operativo, come vedremo sotto. Gli acceleratori, a differenza degli incubatori, offrono i loro servizi attraverso un programma intensivo dedicato a coorti di aziende selezionate, con programmi di durata temporale limitata (di solito 3-12 mesi) e in genere si concentrano sui servizi e non sullo spazio fisico messo a disposizione. Il processo di selezione è altamente competitivo.

La maggior parte degli acceleratori effettua investimenti nelle start-up in cambio di quote di capitale dell’azienda. La maggior parte degli acceleratori oggi sono finanziati da imprese e/o dal settore pubblico. Dal punto di vista di dimensioni del fenomeno vediamo alcuni numeri. Negli Stati Uniti si stimano più di 2800 strutture tra incubatori ed acceleratori, per circa 30.000 aziende interessate. Come anticipato, uno dei più interessanti è Y Comb, posizionato nella Silicon Valley, ha due coorti all’anno finanziate; investe circa 125.000 euro per ogni azienda. Ha fondato 4.000 start-up per un valore attuale complessivo di circa 600 miliardi di euro. Tra le sue start-up si trovano casi di grande successo come Airnbn, Dropbox, Reddit. Anche alcune aziende italiane fanno parte di questa scuderia, ad esempio Akiflow e Strive Schools. La struttura di Y Comb è snella, poche decine di collaboratori, ma la rete è molto ampia, più di 600 grandi investitori.

Se andiamo dalla parte opposta del mondo, in India, stanno nascendo tanti incubatori; oggi sono più di 400, e si muovono in un clima favorevole dato da politiche nazionali molto incentivanti per le start-up (dell’ordine di svariate centinaia di milioni di dollari).

Essendo l’India un terreno molto fertile per l’informatica, ed oggi per l’Intelligenza Artificiale, ha suscitato l’interesse di Google con il suo programma Google for Start-up. Questo ha portato investimenti ingenti all’interno delle Università indiane dalle quali sono nate numerose start-up. In Italia gli acceleratori e gli incubatori sono 262 e occupano un totale di 1.950 dipendenti.

La maggior parte opera nel Nord-Ovest della nostra penisola, con prevalenza in Lombardia, dove ne sono presenti 61. Nel resto del Paese si distinguono per il loro impegno Emilia Romagna, Lazio, Campania e Toscana, rispettivamente con 32, 25, 21 e 19 incubatori. Si contano quasi 3.000 startup incubate, un fatturato medio di oltre 500mila euro. Il fatturato totale è circa di 1,5 miliardi di euro.

Per fare un raffronto, si pensi che Dropbox, da sola, nata nel 2007 in Y Comb, oggi fattura 2,5 miliardi di dollari. Nelle Marche sono riconosciute 7 strutture per l’incubazione, di cui 3 incubatori/acceleratori certificati dal MIMIT. Il mondo degli incubatori ed acceleratori, come si intuisce, è veramente vasto e andrebbe analizzato con molta attenzione per poterne comprendere i meccanismi e le opportunità. Però alcuni punti chiave generali si possono sottolineare.

Le start-up si muovono in un mondo globalizzato e, se possono, scelgono di candidarsi per favorire la loro crescita dove le possibilità sono migliori. Quindi la competizione tra strutture è sempre più di alto livello. Per essere un incubatore o acceleratore di riferimento è necessario avere una rete di investitori ampia e con capacità di investimento elevate. La “materia prima” sono le idee, quindi il collegamento con il mondo della ricerca, in particolare universitaria, è fondamentale. La crescita degli incubatori ed acceleratori dipende dalle strutture ospitate, le quali, in genere, necessitano di personale altamente qualificato per potersi espandere e questo, ancora di più, mette in evidenza la necessaria concatenazione con il mondo della formazione.

Nel caso di spazi di incubazione fisici gioca un ruolo altrettanto importante l’attrattività dei luoghi. Si potrebbero evidenziare molti altri spunti ma già questi elementi possono far riflettere. In definitiva, oggi non si può non investire su acceleratori ed incubatori, come opportunamente sta facendo la Regione Marche, per provare a far crescere l’economia di un’area geografica ma, come sempre, per avere un reale impatto, l’investimento deve inserirsi in una strategia multiforme che, nel caso specifico, deve comporsi di azioni verso la formazione avanzata, la ricerca universitaria di base ed applicata e la messa a terra di idee per la nascita di start-up. Il tutto realizzato con un adeguato dimensionamento degli investimenti. 

* Referente Trasferimento Tecnologico e Direttore Diism, Università Politecnica delle Marche

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