Economia e politica del futuro nello scacchiere delle regioni

Economia e politica del futuro nello scacchiere delle regioni

di Donato Iacobucci
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Mercoledì 17 Marzo 2021, 10:35

Nel commento di sabato scorso su questo giornale riguardo alle prospettive post crisi pandemica, Pietro Alessandrini ha richiamato l’attenzione sul fatto che gli elementi di debolezza dell’Italia e delle Marche hanno radici lontane, in carenze strutturali e istituzionali che l’attuale crisi rischia di accentuare. Per questa ragione, nel ragionare sull’utilizzo delle risorse straordinarie messe a disposizione dal programma Next Generation EU occorrerebbe avere lo sguardo lungo per indirizzare con efficacia sforzi e risorse affrontando contemporaneamente le principali carenze strutturali.

Fra queste ultime Pietro Alessandrini sottolinea il tema dell’assetto istituzionale. E’ un tema che riguarda non solo le Marche ma il paese nel suo complesso. Dopo decenni di discussioni l’unica modifica di rilievo è stata il ridimensionamento delle province e l’attribuzione di maggiori competenze e autonomie alle regioni. Aspetto quest’ultimo sul quale la crisi sanitaria determinata dalla pandemia ha posto non pochi dubbi. Rimane il fatto che il sistema istituzionale italiano ha troppi livelli verticali e un’eccessiva frammentazione orizzontale. E’ un problema che riguarda i comuni, troppi e in molti casi troppo piccoli, e le regioni; anche queste ultime in numero eccessivo e con dimensioni non sempre adeguate alle funzioni loro attribuite. Non sono mancati negli ultimi decenni proposte di riduzione del numero delle regioni e di ridisegno dei loro confini.

La prima era contenuta in uno studio della Fondazione Agnelli dei primi anni ’90 in cui si riducevano le regioni da 20 a 12. L’ultima è stata formulata dalla commissione tecnica istituita dal Governo Renzi nel 2015 che ha proposto anch’essa la riduzione delle regioni da 20 a 12. In entrambe queste proposte le Marche figurano accorpate con Abruzzo e Molise in quella che nell’ultima proposta si sarebbe chiamata Regione Adriatica. Sempre in quest’ultima proposta le Marche non sarebbero confluite per intero nella Regione Adriatica poiché l’attuale provincia di Pesaro-Urbino sarebbe stata accorpata con l’Emilia-Romagna. Una prospettiva, quest’ultima, che ha radici storiche e troverebbe con molta probabilità ampi consensi nei residenti della provincia.

Qualcuno potrebbe considerare la prospettiva di accorpamento con Abruzzo e Molise come la definitiva ratifica dello scivolamento a sud delle Marche e dell’ulteriore perdita di connessione con quello che è identificato come il nuovo “triangolo industriale”: Milano-Bologna-Padova.

L’unica area del paese che sembra essere in grado di tener il passo e rimanere agganciata al “cuore” manifatturiero dell’Europa centrale. E in effetti, la prospettiva di accorpamento delle Marche cui fa riferimento Alessandrini nel suo articolo guarda in tutt’altra direzione. Al progetto, prospettato già da alcuni anni, di creare una regione del centro Italia che mette insieme Toscana, Umbria e Marche. Anche in questo caso vi sono ragioni di carattere storico e culturale che giustificherebbero l’unione; e anche notevoli similitudini nelle strutture produttive e nel ‘posizionamento’ nel mercato turistico internazionale. Vi sono, però, anche aspetti meno convincenti. Il primo è l’indebolimento della posizione delle Marche nell’Adriatico; una prospettiva che si è irrobustita con il riconoscimento di Ancona come sede dell’autorità di sistema portuale dell’Adriatico centrale e con il ruolo giocato dalle Marche nell’ambito della macroregione Adriatico Ionica.

Va anche tenuto conto che gran parte delle filiere manifatturiere ha legami lungo la linea adriatica piuttosto che al di là dell’Appennino e che una regione con forte peso nella parte ovest potrebbe indebolire alcuni progetti infrastrutturali utili ai marchigiani. Che interesse avrebbero i toscani (o gli umbri) per l’alta velocità lungo la linea adriatica? Poiché un eventuale ridisegno delle regioni comporta una modifica costituzionale possiamo stare tranquilli che questa discussione è destinata a rimanere tale per i prossimi decenni. Non è però una discussione inutile poiché sollecita la comunità regionale a ragionare sulle grandi scelte strategiche verso le quali indirizzare sforzi e risorse nel prossimo futuro.

**  Docente di Economia alla Politecnica delle Marche e coord. Fondazione Merloni

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