Il pieno di Next Generation senza sguardo lungimirante

Il pieno di Next Generation senza sguardo lungimirante

di Donato Iacobucci
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Mercoledì 24 Maggio 2023, 06:00

Vi è un aspetto del Pnrr meno noto, o comunque meno dibattuto, ma che può contribuire a spiegare le difficoltà che il nostro paese sta incontrando nella sua attuazione. Il Pnrr nasce a seguito del Next Generation Eu, l’iniziativa dell’Ue per il rilancio dell’economia dei paesi dell’unione dopo la pandemia. Il Next Generation Eu è un’iniziativa senza precedenti; sia per l’entità delle risorse messe a disposizione degli stati membri (circa 750 miliari di euro) sia per le modalità di raccolta e di allocazione.

La Ue ha raccolto le risorse sul mercato dei capitali, impegnando la sua credibilità e riuscendo in questo modo ad ottenere condizioni vantaggiose sia per il costo sia per i tempi di restituzione. La seconda novità è che le risorse sono allocate ai paesi membri non solo in base alla dimensione in termini di popolazione ma anche in base all’impatto che ciascuno di essi ha subito dalla pandemia e alle necessità di aggiustamento strutturale e di rilancio dell’economia. Con il Next Generation Eu, la Ue garantisce per la raccolta di debito che serve a sostenere i paesi in maggiore difficoltà. Come ormai ampiamente noto le risorse allocate ai paesi membri nell’ambito del Next Generation Eu sono in parte a fondo perduto ed in parte nella forma del debito, conveniente per i bassi tassi di interesse ma comunque da restituire. È anche noto che il trasferimento dei fondi agli stati nazionali avviene in tranche semestrali soggette al raggiungimento di specifici traguardi e obiettivi definiti nel piano.

La difficoltà a conseguire gli obiettivi di spesa sta mettendo in discussione la possibilità di ottenere le risorse finanziarie previste dal piano. Sotto accusa è la cronica lentezza dei processi di spesa delle amministrazioni pubbliche. Ma vi è anche, come ricordato in apertura, un aspetto meno noto e poco dibattuto. I criteri di riparto del Next Generation Eu sono serviti a definire le risorse a disposizione dei singoli paesi; spettava però a questi ultimi decidere quanta parte di fondi utilizzare.

L’Italia è l’unico fra i grandi paesi dell’Ue ad aver utilizzato tutti fondi a disposizione, sia quelli a fondo perduto (69 miliardi) sia quelli a debito (123 miliari).

Francia e Germania, al pari della gran parte degli altri paesi, hanno attinto solo alle risorse a fondo perduto e nemmeno per l’intero ammontare: 39 miliardi la Francia, 26 la Germania. Solo Grecia e Romania hanno attinto, come l’Italia, al totale delle risorse messe a disposizione ma il valore complessivo è decisamente inferiore: 30 miliardi la Grecia; 29 la Romania. Altri paesi hanno preso quote irrisorie e solo contributi a fondo perduto: 6 miliardi il Belgio, 3 miliardi la Svezia e l’Austria; 2 miliardi la Finlandia.

I fondi attinti dall’Italia non sono solo rilevanti in termini assoluti; lo sono anche in termini di impatto sull’economia rappresentando oltre il 10% del Pil del 2021. L’opportunità di attingere alle risorse a disposizione, in particolare quelle a debito, non è stata oggetto di dibattito pubblico. Si è dato per scontato che si dovessero utilizzare tutti i fondi a disposizione e su questa base si è impostato il Pnrr. Ne è risultato un piano estremamente vasto e complesso, ma nato con un vizio di fondo: quello di mettere insieme un insieme di progetti finalizzati a giustificare l’utilizzo delle risorse chieste alla Ue, in assenza di una visione di lungo termine sulle direttrici di sviluppo del nostro paese e delle priorità sulle quali concentrare gli sforzi e le risorse. Da qui la dispersione della spesa in mille rivoli e le difficoltà a completare i progetti nei tempi previsti.

Nel primo anno l’Italia ha rispettato gli impegni del piano, che erano prevalentemente relativi a riforme e adempimenti amministrativi. Il grosso degli investimenti è previsto negli anni finali, dal 2024 al 2026. Se non si riuscirà a rispettare le previsioni del piano il danno per l’Italia e per l’Ue sarà considerevole. Quand’anche dovessimo riuscire a spendere le risorse rimane la questione della loro effettiva capacità di incidere sulle nostre debolezze strutturali. In entrambi i casi i problemi non derivano dall’implementazione del piano ma dalle modalità con le quali è stato concepito. 

* Docente di Economia alla Politecnica delle Marche  e coordinatore Fondazione Merloni

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