Dava fastidio agli studenti,
ragazzino messo in aula da solo

Dava fastidio agli studenti, ragazzino messo in aula da solo
di Teodora Poeta
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Mercoledì 24 Gennaio 2018, 10:52 - Ultimo aggiornamento: 11:17
Non è sempre facile il percorso scuola-famiglia. Ancora più difficile diventa quando in mezzo ci si mette la mancanza di comunicazione. Un silenzio che può nuocere innanzitutto ai bambini, i più sensibili a qualsiasi evento. E la morte è sicuramente uno di questi. Lo sa benissimo Angelo (nome di fantasia che usiamo per non far risalire alla sua identità, ndr), 9 anni, di Teramo, che poco più di un anno fa ha perso il nonno, al quale era molto legato, e più di recente anche sua zia, che era molto giovane. Così a luglio i suoi genitori, quando hanno visto il figlio con degli stati d’ansia, hanno deciso di intraprendere un percorso di psicoanalisi. Il bambino, hanno spiegato i medici, «si stava rendendo conto che anche le persone giovani posso all’improvviso morire», racconta la mamma.

Al suo rientro a scuola, però, verso metà ottobre, inizia a disturbare in classe. Fino a quando, lo scorso lunedì, non viene ammesso in aula e «un’insegnante – racconta sempre la mamma – lo porta in un’altra classe su decisione della preside e lì segue le lezioni da solo». Angelo fa la 4° elementare a Teramo e quella decisione i suoi genitori proprio non l’hanno capita. «Ammesso che io sia accecata da mamma, la preside avrebbe dovuto avvisarmi e non umiliare in questo modo mio figlio davanti ai compagni. Poteva dirmelo e io lo avrei preparato mio figlio. Invece di rassicurarlo, lo hanno isolato».

Dal canto suo la preside dell’Istituto dice: «Non me la sento di esprimere alcun parere. Lascio la facoltà alla madre del bambino di esprime il suo pensiero. Ci sono altre autorità preposte che dovranno intervenire. Qualora avessi sbagliato, ne risponderò. Al bambino non ho mai impedito di entrare a scuola». A scuola non di certo. Ad Angelo, però, è stato impedito di entrare in classe, nella sua aula di studi. La domanda che attanaglia i genitori è come sia stato possibile prendere una simile decisione in autonomia, senza neanche consultarli? Forse la preside avrà avuto anche i suoi motivi, ma non esiste l’integrazione? Lo scorso 9 gennaio a casa del bambino si presentarono gli assistenti sociali chiamati dalla scuola che constatarono come Angelo fosse seguito da psicologi e quant’altro con un appuntamento a breve da un altro dottore della Asl. E’ il 19 gennaio quando la mamma del bambino, durante il lavoro viene chiamata per andare subito a scuola a riprendere il figlio: si sta comportando di nuovo male. Quando lei arriva c’è un’ambulanza del 118 con un lettino al piano di sotto. Angelo le chiede: «Mamma ma mi legano, mi fanno la puntura?» Poco dopo arriva anche la Polizia. Sul referto medico si legge: «Riferito stato di agitazione. Al momento dell’intervento il paziente non presenta segni di agitazione». Quel paziente è il piccolo Angelo. «Noi abbiamo altri figli e io non posso perdere il lavoro», si sfoga la mamma con il fiato spezzato. La consapevolezza della morte per Angelo o il terremoto che ha scosso la città sono eventi che hanno traumatizzato tanti bambini. Ma non per questo bisogna colpevolizzarli. Della vicenda comunque i genitori hanno informato il Provveditorato agli studi dell’Aquila.
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